Note introduttive
Abbiamo il piacere di accogliere nella nostra rubrica il contributo di una giovane collega, allieva del Corso di specializzazione, che ha voluto riprendere alcuni temi proposti da Salvatore Grimaldi nella giornata organizzata dalla Sipsia sul tema ricercare- fantasia nel Maggio dell’anno scorso. Si tratta di spunti di riflessione interessanti che nascono anche dalla doppia formazione della collega, musicista e futura psicoterapeuta e che ringraziamo per la sua proposta.
Appunti e riflessioni a partire da una proposta di Salvatore Grimaldi
di Alessandra Ciriaci
A distanza di un anno, complice l’interesse per la musica unita alla formazione psicoanalitica, e alcune esperienze cliniche in cui sono impegnata, mi sono ritrovata a fare varie riflessioni sull’arte e la creatività e a ripercorrere dei pensieri sollecitati dalla partecipazione ad un piacevole pomeriggio scientifico – musicale, organizzato dalla SIPSIA, con il dott. Salvatore Grimaldi, intitolato “Ricercare fantasia” (28 maggio 2022). L’invito ai presenti ruotava attorno ad un famoso detto latino: “Quaerendo invenietis”, cosa vuole significare? Con una traduzione piuttosto libera, può essere inteso in: “seguitando a ricercare, troverete”! Mi è sembrato molto interessante poter accostare l’esperienza del cultore della musica, così come proponeva Grimaldi, con il pensiero Winnicottiano.
Vorrei iniziare ricordando le interessanti sollecitazioni, proposte da Grimaldi, che ha condiviso con i partecipanti la sua ricca competenza musicale e psicoanalitica partendo da un concetto molto particolare: la musica come arte non esiste, non è oggetto, per poter vivere deve essere articolata da un attore esecutore. Lo spartito in sé non può renderla da solo, ma necessita di un interprete creativo.
Grimaldi discuteva del suo interesse per la musica “assoluta”, musica come suono. Ricordava a tal proposito Kennetht Wright che, in un recente incontro scientifico, aveva raccontato un aneddoto, in cui veniva chiesto a Brahms cosa avesse voluto comunicare con una certa sinfonia. A questa domanda l’artista rispose che se fosse stato in grado di tradurlo in parole, probabilmente non avrebbe scritto quella sinfonia. Questo racconto pone in luce l’importanza della creatività individuale nell’articolare l’arte dei suoni.
Riguardo invece al ricercare fantasia come forma musicale, Grimaldi evidenziava come esso segnasse un rilevante passaggio dalla musica vocale a quella strumentale: il brano musicale aveva al suo interno un motivo popolare e, compito dell’uditore dell’epoca, era individuarlo predisponendosi ad un ascolto attento.
Grimaldi segnalava inoltre, a proposito del ricercare, come Bach, nelle sua raccolta di opere l’Offerta musicale, avesse inserito in uno dei ricercati la nota “Quaerendo invenietis”. Nell’arte della fuga, sembrava volesse dire dunque ai suoi esecutori: “vi dico cosa suonare, ma potrete farlo con qualsiasi strumento, usando la creatività”! Un esempio interessante di compresenza di dati oggettivi e soggettivi legati alla risonanza personale anche dell’esecutore di un brano musicale.
Un ulteriore esempio, proposto da Grimaldi, è quello di R.G. Strauss. Suo padre era un solista di corno. Il musicista, nella propria autobiografia, riporta alcuni momenti della sua infanzia in cui, la madre racconta che era solito sorridere all’ascolto del suono del corno, come se il suo suono di questo strumento fosse divenuto rievocativo degli affetti che lo legavano al padre.
S. Grimaldi ha coinvolto i partecipanti in un’esperienza interessante su un doppio gioco di ascolto del medesimo brano, “Ein Heldenleben” (“Vita d’eroe”, poema sinfonico op. 40, brano n° 6 di Strauss), eseguito da due musicisti differenti: una prima esecuzione diretta da Strauss stesso, e una seconda diretta da Herbert von Karajan. Von Karajan introduce una diversa e prolungata durata dei tempi di esecuzione e questo ci porta a chiederci: Esiste un’unica esecuzione corretta? Sembrerebbe proprio di no dal momento che le interpretazioni possono essere diversificate, ma ugualmente “giuste” poiché frutto dell’intimo sentire di ciascun esecutore.
Tornando al ricercare, Grimaldi ha citato Rachmaninov. Per questo musicista, incerto sulla sua professione futura, fu fondamentale l’incontro con uno psichiatra inglese che frequentò per molti mesi. Discutevano di musica e della sua dipendenza dall’alcool, e instaurarono una sorta di relazione analitica, alla cui conclusione l’artista compose un concerto, dedicato allo psichiatra, e frutto dunque di quella ricca e significativa relazione umana e analitica.
Quasi al termine della sua vita Rachmaninov scrisse una rapsodia su un tema di Paganini per pianoforte e orchestra, il capriccio per violino solo No.24, in cui nel finale c’è una parte del Dies Irae gregoriano. Questa rapsodia ci confronta con un quesito interessante: il Dies irae è stato inserito da Paganini, o trovato/creato dallo stesso Rachmaninov?
Il prezioso contributo di Grimaldi sul Il ‘ricercare musicale, fantasia,’ mi sembra si possa prestare ad alcuni collegamenti con l’esperienza del gioco, emblema della creatività e della ricerca del sé di Winnicott. “Mentre gioca, e forse soltanto mentre gioca, il bambino o l’adulto è libero di essere creativo” e ancora “il giocare e l’esperienza culturale possono essere localizzati se si usa il concetto dello spazio potenziale tra la madre e il bambino” (Winnicott, D.W. 1974, pag. 101).
Il ricercare artistico e ludico risulta in quest’ottica essere una questione fondamentale per i processi evolutivi. Un passaggio essenziale è come l’individuo passi dall’esperienza sensoriale alla percezione, al riconoscimento delle emozioni o al dare significato ad esse, fino ad arrivare all’esperienza culturale.
Un esempio di tale processo è la voce della madre che, sentita dal feto nel grembo, può poi essere riconosciuta dal piccolo alla nascita. Il suono assume così un significato interno, profondo e personale. Sul piano dell’esperienza la prima forma sensoria è proprio quella dell’udito, che orienta dall’inizio ciascun individuo, come una sorta di bussola sonora. E. Gaddini a tal proposito, nei suoi ultimi lavori, sottolinea come il bambino agli inizi della vita sia centrato su tutti i propri canali sensoriali, sia focalizzato su Sé, e solo successivamente diventi in grado di distinguere Sé dal mondo esterno.
Seguendo questi pensieri arriviamo al punto cruciale del passaggio winnicottiano dalla soggettività all’oggettività. Winnicott asserisce: “…noi facciamo esperienza della vita nell’area dei fenomeni transizionali, nell’eccitante sconfinamento della soggettività e della osservazione oggettiva, in un territorio che è intermedio tra la realtà interiore dell’individuo e la realtà condivisa del mondo” (Winnicott, D.W.1974 pag. 117). Si potrebbe dire che solo il processo evolutivo “sano” del bambino, consentirebbe successivamente l’accesso alla cultura, passando attraverso l’esperienza del gioco. Area in cui il bambino deposita e ritrova nel mondo esterno qualcosa di sé e allo stesso tempo sperimenta l’ascolto o la visione di qualcosa che appartiene all’esperienza dell’altro.
L’arte, ed in particolare quella dei suoni, ha molto aiutato a non avere la pretesa di dare soluzioni, ponendo al contrario l’attenzione sul concetto del seguitare, senza timore, a porsi delle domande. Winnicott scrive: “Che cosa facciamo, per esempio, quando ascoltiamo una sinfonia di Beethoven o quando andiamo in pellegrinaggio ad una galleria d’arte, o quando leggiamo a letto Troilo e Cressida o quando giochiamo a tennis? Che cosa fa un bambino quando si siede sul pavimento giocando sotto l’egida della madre? Che cosa fa un gruppo di adolescenti che partecipa ad una riunione pop”? (Winnicott, D.W. 1974 pag.181). Con tutti questi interrogativi l’autore sembra ci inviti, appunto, a continuare a porci degli interrogativi: è necessario imparare a revisionare continuamente il nostro spartito personale e, anche quando le risposte non arrivano o sono spiacevoli, continuare a lavorare su di sé, per giungere pian piano a trasformare il suono delle parole in intimi significati, ancora sconosciuti.