di Giuliana Bruno
Una mamma si addormenta ..
Quante parole intorno ad una mamma che si addormenta mentre allatta e perde il suo bambino.
Di fronte ad un dolore impensabile e indicibile sembra sia impossibile tacere.
La ricerca di un colpevole è immediata ..
La mamma? Le infermiere? I medici?
Ma se lasciamo per un attimo a chi compete la dovuta indagine, possiamo forse sentire il dolore di quei genitori che dovranno tanto faticare per rendere pensabile l’impensabile e procedere nella loro vita senza il peso di una colpa che non c’e, ma che si insinua quando accadono fatti traumatici e perdite nelle quali si è coinvolti, riproponendo, come un rumore insopportabile, pensieri sul prima del trauma, su cosa sarebbe accaduto se ….
Tentativo di mettere sotto il controllo del pensiero e della logica ciò che è sfuggito in maniera drammatica.
Le mamme sono stanche dopo il parto. Un coro di donne si è alzato in questi giorni per dire che si è in tante ad aver vissuto questa esperienza e ad avere sfiorato la tragedia per i loro bambini. Le donne non sono tutte uguali così come la vita non è sempre lineare.
Alcune si alzano in piedi presto e sono pronte, a volte precocemente, a cavarsela da sole, come hanno sempre fatto nella vita, non senza pagare i costi di tale sforzo. Altre no, specie se il parto le ha molto affaticate o ha avuto degli imprevisti. Se accompagnate e sostenute però nel sostare in quell’area un po’ ovattata dei primi giorni dopo il parto, presto diventano in grado di comprendere i bisogni dei loro bambini, di rispondere alle loro richieste senza fretta, e di uscire da uno stato di fragilità che, come è naturale, accompagna insieme a una venatura più o meno intensa di depressione, il dopo parto.
Avere il bambino nella propria stanza appare una modalità facilitante per l’instaurarsi di una relazione unica e speciale sin dall’inizio tra mamma e bambino.
Ma tale modalità rischia di scivolare in una richiesta, troppo precoce per la neomamma, se lasciata troppo presto o troppo a lungo sola, di essere vigile e attiva proprio in un momento di fragilità .
Perché in questi casi non dare più spazio ai padri per facilitare non solo le compagne o mogli ma anche per permettere loro di entrare in contatto con i figli sin dall’inizio? O accogliere, pur nelle dovute regole, figure che forniscano sostegno affettivo alle mamme?
Il periodo del covid ha visto tante mamme sole e sofferenti, ma non sempre, anche finite le emergenze , le istituzioni garantiscono o possono garantire la presenza discreta e non intrusiva di figure di riferimento, ora familiari ora non, accanto alle neomamme.
Forse a volte i protocolli, anche se nati con le migliori intenzioni, rischiano di non offrire cure più su misura nei momenti così intimi e delicati come il parto e i primi incontri genitori bambini.
La questione è certo complessa …Non possiamo dimenticare le immagini delle infermiere e dei medici stremati per i turni massacranti non solo nel periodo del covid ma anche in situazioni cosiddette normali.
Non possiamo dimenticare che poco tempo fa uscivamo sui balconi per applaudirli e ringraziarli mentre rischiamo ora di demonizzarli. Molti di loro sono anche madri e padri spesso senza le forze per conciliare lavoro e affetti , senza supporto psicologico quando vivono situazioni traumatiche e sovraffaticamento.
Se pur necessario ricercare le responsabilità dei protagonisti di questa tragedia, credo sia utile soffermarsi in una seria riflessione sulle risposte di cure necessarie a genitori e bambini, sulle condizioni umane di lavoro di chi li assiste e sull”adeguata formazione che includa anche l’attenzione per la qualità affettiva delle relazioni di cura.
Una tragedia come questa grida più forte di tante altre che quotidianamente vivono tanti genitori e non solo. Deve essere un’occasione per affrontare e trovare soluzione alla grave carenza di sostegno professionale umano e psicologico negli ambienti di cura. Luoghi di nascita, di malattia e di morte nei quali l’attenzione alla persona spesso è affidata per lo più alla coscienza di operatori sensibili, preparati e spesso soli.
Parliamone dunque senza dimenticare.
Immagine: "Le tre età della donna" di Gustav Kllimt, 1905