Nella Costituzione americana si legge che: “tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca delle Felicità; allo scopo di garantire questi diritti, sono creati fra gli uomini i Governi, i quali derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; ogni qual volta una qualsiasi forma di Governo, tende a negare tali fini, è Diritto del Popolo modificarlo o distruggerlo, e creare un nuovo governo, che ponga le sue fondamenta su tali principi e organizzi i suoi poteri nella forma che al popolo sembri più probabile possa apportare Sicurezza e Felicità.”
La storia ci dice tutt’altro. Sebbene l’abolizione della schiavitù fosse stata sancita nel 1865 con l’approvazione del XIII Emendamento della Costituzione Americana, in realtà la discriminazione razziale, con tutti fatti di violenza ad essa collegata, ha accompagnato da sempre la storia americana, ma non solo. Sicuramente le vicende relative alla lotta al razzismo, quelle legate alla storia degli USA, sono le più note, hanno attraversato tutti i secoli, hanno seguito l’andamento delle vicende sociali, si sono trasformate in varie forme con il mutamento della società. Sembrerebbe anche banale ricordare, però, che discriminazione, sfruttamento, razzismo, sono elementi presenti nella storia dell’umanità, da sempre, dall’alba dei tempi.
Mentre seguo le notizie che giungono oggi dal mondo, dopo due anni di pandemia, che parlano ancora una volta di tensioni tra popoli che potrebbero portare allo scoppio di una guerra, mi sto riferendo a cosa sta accadendo in queste ore tra Russia ed Ucraina, mi risuonano in mente continuamente alcune domande. “dove sarebbe la ricerca della felicità che è presente nella costituzione americana?” e poi “ci sarà ancora una volta una guerra? perchè?”; è stato allora che ho ripensato a quanto Freud si sia soffermato a pensare intorno alla guerra. Il padre della psicoanalisi ha attraversato, durante la sua esistenza, i periodi più bui della storia dell’umanità moderna, ma egli ha anche ragionato molto sulla ricerca della felicità. Le sue riflessioni mi sono parse, ancora una volta, estremamente moderne ed attuali.
Nel 1931 l’Istituto internazionale per la cooperazione intellettuale fu invitato dal “Comitato Permanente delle Lettere e delle Arti” della Società delle Nazioni a promuovere un dibattito epistolare tra gli intellettuali dell’epoca su temi di universale interesse.
Albert Einsten fu tra i primi coinvolti e gli fu chiesto di porre alcune domande a Freud, relativamente alla guerra. Ritrovare questi scritti e immergermi in essi mi ha dato nuovi spunti di riflessione.
Eistein domanda a Freud: “com’è possibile che la massa si lasci infiammare con i mezzi suddetti fino al furore e all’olocausto di sè?” e poi aggiunge, dandosi una risposta: “perchè l’uomo ha dentro di sè il piacere di odiare e di distruggere”. Einstein sta parlando dei conflitti internazionali, ma si sta riferendo anche alle guerre civili, alle persecuzioni, alle discriminazioni. Nelle sue articolate risposte Freud ripercorre concetti che aveva già ben esplorato in una serie di scritti precedenti a questo carteggio “Psicologia delle masse ed analisi dell’io”, “L’avvenire di un’illusione”, “Il disagio della civiltà”. Sono gli scritti che hanno abbracciato un periodo che andava dal 1920 al 1930; gli anni difficili del passaggio da un conflitto mondiale all’altro, dell’insorgenza delle leggi razziali, dell’ascesa del Nazismo, della grande depressione. Freud si chiede quale sia la felicità alla quale aspirano gli uomini, se esista realmente; sembra domandarsi, con una visione comprensibilmente pessimista, dove sia andato a finire il buono dell’essere umano, di fronte a tanta distruzione, e se esso sia mai esistito.
Nel 2022 la civiltà è ancora alle prese con la lotta al razzismo e con le tensioni tra popoli vicini. Non c’è bisogno di andare tanto lontano, ovunque, in ogni paese del mondo, c’è stato e sempre ci sarà un vissuto generale di intolleranza nei confronti del diverso. E di contro, chi si sente diverso, discriminato, perseguitato, ha messo e sempre metterà in atto comportamenti di autodifesa che spesso sfociano in ribellione, protesta. Ed allora il circolo si chiude: violenza chiama violenza.
Ritornando agli scritti di Freud, nella risposta ad Einstein egli afferma che un’ampia comunità è necessariamente composta da forze diverse, contrapposte, variegate, e che ci sarà sempre il tentativo di qualcuno di ergersi sopra gli altri e di questi altri di lottare per vedere riconosciuti i propri diritti e per non sentirsi schiacciati. “Uno sguardo alla storia dell’umanità ci mostra tuttavia una serie ininterrotta di conflitti tra una collettività di popoli, Stati, conflitti che vengono decisi quasi sempre mediante la prova di forza della guerra”. E poi spiega ancora: “la pulsione di morte diventa pulsione distruttiva allorquando, con l’aiuto di certi organi, si rivolge all’esterno, verso gli oggetti. L’essere vivente protegge, per così dire, la propria vita, distruggendone una estranea”. L’uomo è naturalmente predisposto a cercare la felicità, a soddisfare i propri bisogni, a sentirsi realizzato ed appagato, ma la società impone dei limiti. Esiste l’altro, con le proprie caratteristiche e con esso ogni giorno, ogni uomo dovrà interfacciarsi, relazionarsi. Il punto di vista di Freud, ripetiamo, è quello di un uomo calato in un momento storico tragico, doloroso e non può che trasudare pessimismo. Ma oggi, rileggendo questi scritti, si può provare a riportare i concetti alla modernità dei nostri giorni, adattandoli alla velocità del mondo moderno. La psicoanalisi ci aiuta, ancora una volta, a pensare su quanto accade attorno a noi cercando un senso più ampio. Ci invita a riflettere su quanto sia insita nell’animo umano la naturale difficoltà nell’accettare le diversità, nel favorire l’integrazione con chi pensiamo possa venire a toglierci il nostro spazio vitale.
Ma il passo successivo allora dovrebbe prevedere un ‘evoluzione ed è quello che le scienze umane, la filosofia, la psicoanalisi, ci hanno insegnato. L’altro è un arricchimento, l’atro può sostanzialmente aggiungere e non togliere e minacciare.
Nelle nostre stanze di terapia impariamo ogni giorno dai nostri pazienti ed insieme a loro ad amare ciò che possiamo sentire come tanto diverso da noi. La sospensione di ogni giudizio che siamo chiamati a praticare nel nostro lavoro ci induce a soffermarci su altro, sull’altro, ci aiuta proprio nel compito di sostenerlo nell’affrontare le sue fragilità, senza sentircene minacciati.
Concludo con le parole di Freud che parla della delusione della guerra nel 1915, riferendosi allo scoppio della prima guerra mondiale, e forse incarna perfettamente, a così tanti anni di distanza, il nostro sentire di questi tempi, ora che sentiamo intorno a noi, e dunque dentro di noi, la fragilità degli equilibri ed il timore di ripiombare in situazioni di pericolo: “la guerra a cui non volevamo credere è scoppiata e ci ha portato…la delusione. Non soltanto è la più sanguinosa e rovinosa di ogni guerra del passato, e ciò a causa dei tremendi perfezionamenti portati alle armi di offesa e di difesa, ma è anche perlomeno tanto crudele, accanita e spietata quanto tutte le guerre che l’hanno preceduta. Essa infrange tutte le barriere riconosciute in tempo di pace e costituenti quello che è stato chiamato il diritto delle genti, disconosce le prerogative del ferito e del medico, non fa distinzione tra popolazione combattente e popolazione pacifica, viola il diritto di proprietà. Abbatte quanto trova sulla sua strada con una rabbia cica, come se dopo di essa non dovessero esservi più avvenimenti di pace fra gli uomini. Spezza i legami di solidarietà che possono ancora sussistere fra i popoli in lotta e minaccia di lasciar dietro di sé un rancore tale da rendere impossibile per molti anni una loro ricostituzione”
in copertina “Guernica” di Pablo Picasso 1937
Bibliografia
Freud S. (1932), Perché la guerra, in Il disagio della civiltà ed altri saggi, Bollati Boringhieri Editore, Torino, 2013