Niente di vero di Veronica Raimo
Ed. Einaudi, 2022
Recensione di Paola Ulissi
Niente è vero se non esiste nella relazione, se non esiste nella mente dell’altro.
Questo romanzo racconta una storia di relazioni al contempo intima e universale, quella del diventare donna, un’adulta dunque, superando certi cortocircuiti emotivi e talvolta pericolosamente paralizzanti che possono derivare dalla propria famiglia d’origine, da quello che per Winnicott, se le cose vanno bene, sarebbe l’ambiente affettivo facilitante per la crescita di un bambino.
Come se già la storia non bastasse da sola a inchiodare il lettore al romanzo, si aggiunge poi lo straordinario stile della scrittrice che è assolutamente avvincente, un catturante miscuglio di comicità e sofferenza.
L’incipit “mio fratello muore tante volte al mese” prepara il lettore a una lettura di calviniana memoria: “dare leggerezza alla pesantezza”. Impossibile non sorridere alla narrazione della stramba famiglia della scrittrice. Altrettanto impossibile è non cogliere il dolore che si cela dietro le sue parole. Dolore del quale non si parla, ma c’è. La solitudine di due figli visti solo attraverso i bisogni dei genitori. Genitori assenti, distratti, presi da sè stessi, al limite del patologico, incapaci di stare con i figli e incapaci di riconoscerne i bisogni. Il padre preso ad erigere muri dove tutto “è un paradosso” e la madre depressa che ha bisogno di concepire altri bambini per curare sè stessa. Quasi un bisogno di conferma della propria fertilità, mentre i figli nati crescono da soli, e sono abituati a “cavarsela” da soli.
Veronica narra con maestria cosa accade alla bambina che si relaziona con “l’unico principio morale che la madre riconosce”: l’ansia. Riportando il lettore agli effetti devastanti della relazione di un bambino con una madre depressa, la trama sposta il lettore ai racconti di vita della stanza d’analisi. E’ qui che si incontra il dolore, che si invortica su se stesso in una circolarità che trascina a fondo in un loop senza fine. Solo il processo terapeutico può contenere e risignificare, riattivando una coazione a ripetere dolorosa e paralizzante. Nel libro il dolore è celato dall’ironia, soluzione offerta come capacità di tirarsi fuori dalla relazione con l’ambiente trascurante.
E’ toccante quando la protagonista racconta della madre che non la riconosce, che parla con tutti meno che con lei, che ha sempre un motivo per giustificare il “non-riconoscimento”. Momento che riporta alla memoria gli effetti devastanti nel neonato del non-rispecchiamento materno.
La solitudine dell’adolescente che racconta l’esplorazione a certe prime esperienze di vita è anche l’altro tema di fondo di questo meraviglio romanzo. La protagonista, la nostra Vic, come la chiama il padre, è sola alla scoperta della sessualità. La sperimenta con la leggerezza degli adolescenti, portando il lettore nel suo mondo alla scoperta del proprio corpo e quello dell’altro. È una sessualità effimera, quasi un ossessivo riempimento relazionale, che obbliga per non arrendersi alla depressione, a investire affettivamente su un partner dietro l’altro; un investimento amoroso per riempiere il vuoto della relazione che viene sostituito da un altro investimento e poi un altro ancora, all’infinito, per mantenere l’Io in vita: con l’odio dell’Oggetto-Altro, con la ricerca di un piacere eccitante alla ricerca disperata ma non consapevole, di un senso.
Il libro incanta in una narrativa scorrevole dove un evento forte fa sperare in qualcosa di diverso, invece avviene qualcos’altro: Vic viene lasciata sola dal fratello e incontra un’esibizionista. La madre, finalmente, interviene con i suoi professori ma non delude perché ancora una volta non la protegge ma la espone: “mia figlia ha visto un pisello”. La madre non si cura della figlia, non rassicura né aiuta la figlia, ma usa l’esperienza della figlia platealmente; come ci fosse bisogno di teatralità per mostrare al mondo una capacità genitoriale. Vic è di nuovo sola, davanti ad un’esperienza traumatica! Ma ancora una volta, la nostra Vic trasformerà gli effetti dell’intervento materno in un’esperienza di vita in qualche modo costruttiva.
Leggerezza ed ironia traspare dal racconto della scrittrice. La solitudine, la disperazione per l’assenza di disperazione, la rabbia agita e non mentalizzata, dove il corpo è sempre protagonista richiedente di soddisfacimento immediato – e non mediato dal pensiero – che dura un breve attimo e riprende le sue richieste in un loop infinito che solo il pensiero, la crescita, la consapevolezza potrà interrompere.
Vic per quanto mostri una famiglia folle e distante con problemi nella relazione di accudimento, riesce a stabilire legami positivi, come quello che instaura con il fratello. E’ probabile che questo legame d’affetto sia salvifico per lei e lui. È un legame tenero e forte, competitivo ma anche di sostegno l’uno verso l’altra. Vic con lui, supererà la noia ed insieme inventeranno giochi per superare la clausura di un padre ipocondriaco.
Il gruppo degli amici, altra relazione salvifica, supporta ed aiuta senza giudizio e moralità, dove ogni esperienza è accettata ed accettabile.
Nella esperienza clinica, sempre più spesso, arrivano ragazzi non “accompagnati” dove l’adulto c’è ma non c’è davvero; ragazzi che hanno numerosi follower sui social, ma sono soli nelle relazioni. Ragazzi soddisfatti in ogni richiesta consumistica ma lasciati soli ad affrontare la vita, incapaci di tollerare una piccola frustrazione, incapaci nell’arte dell’attesa, mai annoiati perché pieni di attività sin da piccoli ma insicuri e fragili. Adolescenti drammaticamente soli, analfabeti emotivi.
Il libro di Veronica Raimo è un libro che andrebbe letto e riletto nel tempo. E’ uno di quei libri che dovrebbero stare sul comodino per esercitare uno dei nostri diritti di lettori: rileggere ricercando il piacere di riscoprire o ritrovare ciò che abbiamo amato, ciò che ha stimolato in noi riflessioni ed emozioni sopite.
Va anche ricordato che la Sipsia, nella serata scientifica del settembre 2022, ha ospitato Veronica Raimo con la quale si è discusso sullo scrivere autobiografico e questo ci ha dato modo di conoscere a fondo il potente contributo creativo di questa scrittrice. Contributo che riporta alla memoria uno scritto di Freud: Ricordare, ripetere e rielaborare (1914) che illustra l’importanza che lo scrivere assume nel tentativo di superare e ri-elaborare gli eventi traumatici.