Mila (2021) – Cortometraggio d’animazione di Cinzia Angelini
di Liliana Cocumelli
Esistono parole inaccostabili. Niente affatto per faccende cacofoniche, piuttosto per l’immediata contrattura fisiologica che si avverte negli organi interni al solo tentativo di pensarle assieme. Come se già la mente, di suo, ne facesse un rigurgito e comandasse allo stomaco di segnalare un divieto. Due parole inaccostabili: guerra e bambini.
Per parlarne servono codici più immediati del linguaggio: come quello del silenzio, delle immagini e della musica. E’ la loro maggiore potenza ritmica a consentirgli di accostare l’inaccostabile e andare dritti al punto, al tema della tragedia dei bambini colpiti dalla guerra, perché rallenta, accelera e infine incalza e poi rallenta di nuovo la narrazione, così da creare una profonda risonanza ed immedesimazione emotiva.
Le parole possono fare giri troppo lunghi, mentre per andare dritti al punto occorre poco tempo.
E’ ciò che conferma “Mila” un cortometraggio di animazione 3D e privo di dialoghi che in soli 20 minuti racconta tutta l’orribile velocità catastrofica della guerra quando intrude distruttivamente nella vita dei bambini.
MILA è l’incisivo cortometraggio internazionale della regista e story-artist italiana Cinzia Angelini che fu presentato all’apertura del 69° Trento Film Festival, soltanto un anno fa, esattamente il 30 Aprile 2021. Racconta la storia di una bambina di Trento che durante la seconda Guerra Mondiale perde la sua famiglia ma che sopravvivrà al devastante bombardamento del 1943 grazie all’aiuto di una sconosciuta. Racconta tutto l’essenziale: la velocità del trauma che catapulta la psiche infantile da un Prima a un Dopo in un batter d’occhio. Una “chiusura di palpebra” di Mila basta a farle (e a farci) aprire gli occhi su un altro scenario: dal mondo in festa visto dalla giostra al mondo in fiamme dopo un attacco aereo. Prima Mila era assieme a sua madre, un attimo dopo è sola tra le macerie. Le manine portate alle orecchie, o agli occhi, non bastano a proteggersi dagli orrori della guerra. Sulla giostra Mila era un Io in crescita che procedeva al sicuro sull’autostrada della continuità winnicottiana. Anche lo spettatore era tornato a guardare il mondo con gli occhi di un bambino, immaginando di dondolarsi con Mila sul cavallino della bella giostrina.
Da lì tutto il mondo sembrava in festa.
Poi in un secondo, la distruzione. Il trauma irrompe veloce, cambia lo scenario e lo avvolge di orrore. L’Io di Mila non ha risorse adeguate per fronteggiarlo. E’ troppo piccola e la sua mamma è scomparsa. Resta congelata, impietrita dalla paura. La sua salvezza, anche da un punto di vista psicologico, gli proviene da due fattori protettivi: il primo casuale, è quella sconosciuta che per caso la vede e non resta indifferente, la soccorre, la porta via a forza dal luogo delle bombe, se la porta addirittura a casa. Come in un impeto di inconscia adozione: anche lei, la sconosciuta, era rimasta orfana. Le due figure uniscono le loro solitudini e tristezze persino fino a tornare a giocare. Con un carillon, una sedia a dondolo e una vecchia scopa Mila cerca di tornare sul binario della sua continuità evolutiva. Ricerca e ricrea una continuità con la giostra della festa, dove si sentiva al sicuro e festosa assieme alla madre. Nella casa di questa sconosciuta fanciulla Mila avverte la stessa sicurezza che non è quella legata a un luogo fisico ma piuttosto quella che si può ritrovare e persino riproporre all’infinito in quello spazio transizionale in cui un bambino e il suo accudente si incontrano in un’area condivisa di gioco sintonizzato. Il secondo fattore protettivo, propedeutico al primo fortuito, che ha permesso a Mila di accettare e abbracciare un nuovo legame affettivo è rappresentato da quel nastrino rosso che ha tenuto con sé. Il nastro-biglietto dei giri di giostra che la mamma le aveva passato un attimo prima di morire, prima delle bombe. Giri di giostra già pagati dalla mamma per Mila. Un’assicurazione genitoriale a garantire alla figlia un giocare prolungato. Gliela mette in mano un attimo prima del bombardamento. Sembra un augurio… come a dire “Goditi la vita, bambina mia, comunque sia, anche senza di me”.
Mila non vuole perderlo questo nastrino-biglietto, e quando gli cade di mano corre a riacciuffarlo anche sotto gli attacchi aerei. E’ l’oggetto transizionale winnicottiano, il depositario dell’imago materna. Con quell’oggetto il bambino può sentirsi forte abbastanza da andare fuori, ad affrontare il mondo, perché in esso c’è depositata la sua relazione con la figura materna. E’ come un pezzetto di mamma che Mila può portarsi sempre ancora con sé, che la fa sentire protetta e amata ovunque e per sempre.
Al pari delle parole inaccostabili sembrano esserci parole-calamita altrettanto potenti, che ci impongono divieti separativi. Di non separarle mai dai bambini: nastro rosso e carillon, oggetti transizionali e gioco.
Mai come in questo periodo storico torna indispensabile ricordarlo.