Il testo di Fabio Troncarelli “Lo studio della Pietà. Storia e psicoanalisi a confronto” (Mario Adda Editore, Bari, 2019) propone l’interessante parallelo tra la figura dello storico e quella dello psicoanalista.
Inizialmente vengono accostate le metodologie di storia e psicoanalisi in quanto originano entrambe in una comune antropologia, nella medesima rappresentazione dell’uomo, loro oggetto di studio principe, come un essere proteiforme, polimorfo. L’umanità è vista come un “oggetto polifonico” che si esprime attraverso voci molteplici, stratificate, in una dimensione orchestrale più che nell’espressione di un singolo strumento. In fondo, ci dice Troncarelli, la storia è la somma di tutte le storie dei singoli esseri umani.
La stessa etimologia del termine storia, in greco istoria, da istor, saggio e testimone, parla della complessità di raccogliere questa molteplicità di voci, ascoltandole e registrandole anche emotivamente, per poi elaborarle e custodirle nella memoria.
Entrambe, storia e psicoanalisi, prendono in considerazione l’uomo in relazione al tempo che vive, al presente, potendolo porre in dialogo con ciò che è stato, con il passato, ma anche con ciò che è assente, non visibile, che resta nella penombra nella quale i contorni degli oggetti, in una bella immagine di Troncarelli, restano sfocati.
Come l’analista anche lo storico, secondo l’autore, affronta la materia dei suoi studi con un’attenzione fluttuante e un atteggiamento empatico in grado di entrare in sintonia con le sue fonti, abbandonandosi ad una sorta di crepuscolo e sforzandosi di distinguere i contorni degli oggetti. Tale immagine ci rimanda alla capacità dell’analista di tollerare il dubbio, il non senso, l’ignoto, e attendere che nel lavoro analitico sopraggiungano nuove forme e nuovi sensi. Un accento particolare è posto dall’autore sulla neutralità vigile dello sguardo dello storico, che lo induca a non affrettarsi a riconoscere nella realtà che gli si offre strutture definitive, in quanto rischierebbe di andare incontro a possibili deformazioni e distorsioni di quanto accaduto. Una raccomandazione questa, che egli stesso fa propria nella sua minuziosa ricostruzione della biografia di Masud Khan, che conclude con l’invito a ricostruire la vita degli individui con rispetto e laica tolleranza, senza i pregiudizi moralistici del fanatismo e senza cercare, a tutti i costi, eretici e capri espiatori per esorcizzare la propria angoscia.
L’autore ci mostra in pratica questo metodo di raccolta e interpretazione dello storico, ricostruendo la biografia dell’analista indiano attraverso la convalida di fonti diverse da quelle maggiormente conosciute in passato. Osservata da questo punto di vista la ricostruzione della storia dell’analista ci appare sotto una diversa prospettiva. Troncarelli ci invita infatti, oltre che ha controllare la veridicità delle fonti, a leggere la narrazione della vita di un individuo, non solo come il racconto della vita dello stesso costituita dai suoi legami individuali o dai suoi comportamenti più o meno conformisti come spesso è stata raccontata la storia di Khan.
Ma ci guida nel contestualizzare Masud Khan all’interno di una collettività, quella degli psicoanalisti inglesi, ci accompagna attraverso le diverse scuole di pensiero e appartenenze dove Khan ha ricoperto il ruolo di diretto discendente di Winnicott . Ci propone quindi un’integrazione tra la vita e le opere dello psicoanalista più che sottolineare le idiosincrasie del caso.
Dott.ssa Lucia Ciampa
Dott.ssa Carla Corsi
Dott.ssa Marta Reggio