di Patrizia Formicola
Recensione della serie: “La vita bugiarda degli adulti” tratta dal romanzo omonimo di Elena Ferrante, regia di Edoardo De Angelis, Italia, 2023, 6 puntate, Netflix.
Parole chiave: adolescenza; bugie; falso se’
“QUANN SI’ PICCERILL OGNI COSA TE PAR GROSSA… QUANN SI GROSS, OGNI COS T’ PAR NIENT.”
Questa frase è l’incipit di ogni puntata della serie trasmessa sulla piattaforma di Netflix che ci proietta subito nella tematica centrale della storia: il bel volto infantile di Giovanna, interpretato dall’esordiente Giordana Marengo, si sta trasformando diventando quello “brutto e cattivo”, come la definisce il padre, dell’adolescente, somigliante a sua zia Vittoria. Questa trasformazione annunciata ogni volta, ci parla delle proporzioni che assumono le cose nella nostra percezione condizionata dal passaggio dall’infanzia all’adolescenza.
La voce narrante di Giovanna ci introduce nella prima puntata al cuore del racconto:” Due anni prima di andarsene di casa mio padre disse a mia madre che ero molto brutta. La frase fu pronunciata sottovoce, nell’appartamento che, appena sposati, i miei genitori avevano acquistato nel Rione Alto, in cima a San Giacomo dei Capri. Tutto, – gli spazi di Napoli, la luce blu di un gennaio gelido, quelle parole- è rimasto fermo. Io invece sono scivolata via e continuo a scivolare ancora adesso, dentro queste righe che vogliono darmi una storia e che non sono niente, niente di mio, niente che sia davvero cominciato o che sia arrivato a compimento: solo un garbuglio che nessuno, nemmeno chi in questo momento sta scrivendo, sa se contiene il filo giusto di un racconto o è soltanto un dolore arruffato, senza redenzione”
Giovanna ascolta suo padre fare questo commento con la madre di nascosto da lei, squarciando il velo dell’idealizzazione che aveva accompagnato tutta la sua infanzia: è disorientata e il dolore è cocente… e per trovare risposte comincia la sua personale ricerca della verità su sè stessa e sugli adulti della sua famiglia, a cominciare dai genitori.
Questa ricerca si svolge tra la Napoli del Vomero, quartiere della borghesia dove vive con i suoi genitori, e quella del Pascone, quartiere del sottoproletariato urbano dove vive la zia Vittoria e dove è nato il padre di Giovanna, Andrea, docente universitario che si vergogna delle proprie origini. Continuamente in bilico tra la città di sopra che si mette “il vestito buono della domenica” e quella di sotto, smodata e triviale, tra le due Napoli “cugine” che si temono e si detestano, Giovanna sembra non trovare le risposte che cerca. Lo sfondo delle due città, tenute insieme dalla tangenziale, metafora efficace dei possibili ponti da costruire e nei cui cantieri Giovanna va a ballare la breakdance, fanno da risonanza alle sue ambiguità che ben riflettono i rimaneggiamenti tipici della sua età, in bilico tra i suoi oggetti parentali, poco affidabili e bugiardi e i legami nuovi che va costruendo.
La protagonista si rispecchia nella immagine di Vittoria, a volte eccessiva, ma anche tenera ed accudente con lei, magistralmente interpretata da Valeria Golino e che si pone come ambiente portatore di verità e per questo diventa uno snodo fondamentale nello sviluppo psichico di Giovanna, permettendo movimenti identificatori con oggetti reali non falsi e l’interiorizzazione di relazioni stabili e affidabili. L’incontro con Vittoria permette la nascita di una relazione che veicoli interesse, vera preoccupazione per l’adolescente, ma che rispetti la possibilità di segretezza, di omissione, di bugia al fine di ribadire da parte dell’adolescente di essere separato, indipendente, capace di individuarsi, lavorando in segreto e nascondendosi nella privacy. Bugia e segretezza che in adolescenza assume significati ben diversi da quelli della vita adulta, come ci introduce Mazzoncini.
“La bugia nella prima adolescenza è come una seconda pelle che permette di separare e proteggere il proprio mondo interno da quello esterno” (G.M. Mazzoncini, in Richard e Piggle,18, 1 2010)
La zia le regala un motorino, prima conquista di autonomia e veglia sulla relazione con la rivale di Giovanna, permettendole di vivere le sue esperienze e allo stesso tempo dandole le coordinate per una vita affettiva autentica che abbandoni definitivamente l’idealizzazione a fronte della valorizzazione di sé. La sostiene nella scoperta delle verità sui suoi genitori, riconoscendole che è pronta a farlo e mostrandole come il suo mondo affettivo, fatto di intellettualizzazioni prive di sofferenza, possa essere fuorviante rispetto ad una conoscenza autentica che passi attraverso il dolore della delusione. E così Giovanna si avvicina alla sessualità adulta, facendo le sue prime esperienze, esprime il suo dissenso e ricerca risposte personali ai grandi interrogativi della vita, non accontentandosi di costrutti ideologici e religiosi.
Credo che gli autori de “La Vita bugiarda degli adulti” già nel titolo vogliono sottolineare il ruolo diverso della “bugia” tra l’adolescenza e l’età adulta, collegandola nel secondo caso alla vergogna, all’impresentabilità, e mettendo a fuoco il suo contributo alla costruzione del falso sé che può ben ingannare il mondo, per dirla con Winnicott (1954).
Andrea, il papà di Giovanna a cui presta il volto Alessandro Preziosi, rappresenta molto bene il fine intellettuale che si vergogna delle proprie origini, l’accademico che inganna e che sembra non provare alcuna sofferenza, con quel fondo di malafede proprio della personalità narcisistica. Egli, infatti, è il principale artefice, anche se non l’unico, delle vicissitudini del bracciale di famiglia: questo oggetto gravido di bugie e che tiene legati le vite dei personaggi e dei loro cari, nasconde un mistero che si rivela nello svolgersi della serie, procurando molta sofferenza a chiunque vi entra in contatto. Andrea non è disposto a dire la verità, neanche quando, parlando della figlia con la ritrovata sorella, sembra avere un moto di tenerezza, ma non abbastanza da poter entrare in contatto empatico con lei e porre rimedio al dolore che ha procurato.
Questi oggetti parentali inaffidabili rendono il compito adolescenziale di Giovanna molto più arduo: la scoperta della sessualità viene vissuta senza alcun trasporto, tenendo ben separate le emozioni ed il piacere, che richiedono un abbandono che lei non può ancora permettersi. Di contro, è innamorata di un ragazzo del Pascone che è un intellettuale cattolico che si presta all’idealizzazione a cui lei è edipicamente abituata, ma di fronte all’esame di realtà del suo scarso interesse per lei, decide con coerenza di non vivere la sua “prima volta” con lui.
La scena finale vede Giovanna e Vittoria strette in un abbraccio tenero, dopo l’ennesima rivelazione dell’ennesima bugia, all’uso della quale neanche la verace zia sembra sottrarsi, ma facendo comunque la differenza con i genitori di Giovanna, quando ammette che la bugia serve a coprire un “qualcosa” per renderlo “più bella”. Il finale della storia resta così aperto, lasciando l’adolescente al suo compito di soggettivazione: “Durante l’infanzia sono i genitori depositari della verità, ma è nella scoperta dell’area transizionale della finzione che essa può iniziare il suo processo di soggettivazione che troverà il suo compimento nell’adolescenza attraverso un fisiologico trauma catastrofico la cui portata sarà decisiva nell’individuare la posizione del soggetto nel mondo” (G. Pellizzari, Richard e Piggle, 18, 1 2010)
Questa serie, pur avendo elementi di ridondanza che talvolta la rendono lenta, rimane affascinante, a mio modesto avviso, per la capacità degli autori di essere vicini alle tematiche delle persone comuni, degli adolescenti che cercano di emergere da un ambiente deprivato, non solo sul piano delle opportunità, ma anche sul piano affettivo, e con cui tutti possiamo identificarci, e dove la verità non è un oggetto, ma “una tensione etica” volta alla ricerca del nostro posto nel mondo.
BIBLIOGRAFIA E SITIGRAFIA:
“Introduzione. L’adolescente bugiardo nella letteratura e nella clinica” Giovanna Maria Mazzoncini in Richard e Piggle, 18,1,2010
"L’invenzione della verità tra infanzia e adolescenza” Giuseppe Pellizzari in Richard e Piggle, 18,1,2010
"La distorsione dell’Io in rapporto al vero e falso sé” D.W. (1960) in Sviluppo affettivo e ambiente Amando editore (1970)
“Una nuova luce sul pensiero infantile” D. W. Winnicott (1965) in Esplorazioni psicoanalitiche Raffaello Cortina ed. (1995)
https://www.ibs.it