La psicoterapia degli adolescenti e le restrizioni da SARS-CoV-2
Niccolò Gozzi, Valeria Gristina, Fabrizio Rocchetto, Francesca Tranquilli, Valentina Trombacco (Gruppo di studio SIPsIA sul trattamento degli adolescenti con dipendenza da cannabis)
Non leggo un libro da tre anni [On. Lucia Borgonzoni, sottosegretaria alla Cultura]
Ho confuso Topolino con Dante [On. Rossano Sasso, sottosegretario all’Istruzione del Governo Draghi, febbraio 2021]
In passato, in ambito psicoanalitico, si è discusso sull’efficacia della psicoanalisi online (De Intinis, 2015; Goisis-Lauro in questo stesso numero; Marzi, 2013, 2017; Merciai- Goisis e Cannella-Merciai in questo stesso numero; Webinar/IPA 2016; Webinar/IPA 2019), una condizione possibile adeguatamente solo da pochi anni grazie alla disponibilità di strumenti tecnologici adeguati: qualità della connessione, programmi e caratteristiche dell’apparecchio digitale. Inoltre deve essere tenuto presente che la generazione degli immigrati nel digitale, oltre ad avere minore dimestichezza con la tecnologia dei nativi, ha vissuto nel cosiddetto occidente per alcuni decenni – successivamente al dopoguerra, lontano da epidemie o minacce per la salute se si esclude in Europa la catastrofe di Chernobyl del 1986 – “cullandosi” nell’illusione che la scienza riuscisse rapidamente a gestire in modo efficace qualsiasi emergenza. L’epidemia da SARS-CoV-2 ci ha riportato con i piedi per terra. Bolognini, per descrivere la situazione che stiamo affrontando, ha utilizzato l’efficace metafora dei terremotati che devono vivere per un periodo di tempo nelle tende da campo (Bolognini, 2020).
L’utilizzo dei trattamenti psicoanalitici online è stato poco considerato finché la spinta impressa dalla pandemia ha aperto importanti spazi di riflessione (Anastasia, Goisis, 2020; Ungar, 2020, con sottotitoli in italiano; SPIweb, 2020; Webinar IPA post-Covid 2020). Gli adolescenti sono fisiologicamente un passo avanti nell’area delle novità e dell’innovazione anche se il problema dell’addiction da tecnologia digitale è stato spesso all’origine della richiesta di consulenza psicoterapeutica. È forse necessario operare una distinzione tra la terapia online in generale e la terapia online imposta dalle restrizioni per l’epidemia da SARS-CoV-2. Il trattamento online in passato ha avuto timidi spazi di riflessione, legati principalmente alla necessità (per esempio il paziente impossibilitato a raggiungere la stanza di analisi per un trasferimento) e alle condizioni cliniche (pazienti ricoverati) forse mai come scelta preferenziale di trattamento. Il setting in presenza è insostituibile per la ricchezza di stimoli che può offrire, ma le limitazioni legate al contenimento dell’epidemia hanno costretto tutti gli analisti – anche quelli non disponibili al trattamento online – ad accedere e familiarizzare con la tecnologia anche solo per non rimanere esclusi dalla vita societaria e dalle attività scientifiche.
Internet e l’epidemia da SARS-CoV-2 per gli adolescenti
Giorno dopo giorno l’epidemia si configura come un evento che sta cambiando la storia e i costumi dell’umanità nel rispetto delle coordinate geografiche: il luogo dove si vive (città o piccolo centro), la cultura e le caratteristiche socio economiche. Il Covid non sta imponendo solo temporanee modifiche ai comportamenti sociali ma sta incidendo nella carne di una generazione, con modalità che non si sono mai presentate in passato sia per la dimensione globale sia per la forza della virulenza che fino a pochi anni fa si considerava limitata ai virus informatici o ad alcuni focolai (es. Ebola). Inoltre non siamo in grado di prevedere, insieme allo sviluppo delle fantomatiche “varianti del virus”, quali ripercussioni l’epidemia avrà sulla psicologia delle singole persone. A fronte di un’ampia disponibilità di strumenti di conoscenza e comunicazione, mai registrata in passato, la banale affermazione “sono positivo” – un paradosso semantico – segnala la vulnerabilità e l’angoscia per un’infezione che può risultare mortale. Una condizione che rende estremamente attuale il perturbante (Freud, 1919) e il fatto che il familiare (il piacere della socializzazione) può diventare veicolo del “pericoloso estraneo” (il virus) anche con esiti fatali. I principali strumenti per combattere la pandemia sono le vaccinazioni, le cure mediche e le limitazioni nella socializzazione (distanziamento, mascherine e confinamento), fattori che hanno portato oltre che una violenta esperienza di deprivazione sociale ad un necessario maggior uso della tecnologia digitale. Ma come hanno reagito e stanno reagendo gli adolescenti ai trattamenti online imposti dall’epidemia?
Come già detto, prima della pandemia non era raro ricevere richieste di consultazione per addiction da video – cellulare e PC – da parte di genitori per i propri figli adolescenti immersi nei social anche se forse, a volte, avrebbero avuto bisogno della consultazione i genitori invece dei figli. Con l’arrivo dell’epidemia e le restrizioni sociali, il video – cellulare e PC – è diventato una risorsa e gli adolescenti sono divenuti spesso “consulenti” nell’uso dei social e dei programmi per le call degli adulti. Inoltre, l’utilizzo dello strumento digitale è divenuto indispensabile sia per superare l’isolamento sia per lo studio (DAD) e lo svago.
Una premessa: nella psicoterapia online vengono spesso utilizzati due termini: remoto e virtuale. Il termine remoto viene messo in opposizione a in presenza e di fatto descrive nell’etimo, l’essere lontano nello spazio. Per quanto riguarda il termine virtuale, dal latino virtualis, in potenza, viene utilizzato in relazione ai trattamenti online come se fossero in opposizione al trattamento reale, effettivo (voce Treccani, sinonimi e contrari). Il trattamento online ha caratteristiche diverse da quelle in presenza – in particolare per il setting – ma non può essere a nostro parere considerato un trattamento virtuale nel senso di “meno reale”, né privo di una minore azione clinica anzi, in alcuni casi, può offrire valide occasioni terapeutiche pur rimanendo da privilegiare il trattamento di persona che offre una qualità sensoriale – come la condivisione della stanza, l’organizzazione del setting – utili ai fini terapeutici.
La potenzialità del remoto può essere esemplificata da una vignetta circolata sui social nella quale paziente e analista dialogano utilizzando il telefonino, pur essendo presenti nello stesso luogo uno di fronte all’altro, come se fosse un differente modo di comunicare
Si può quindi ipotizzare che le sedute online permettano un accesso ad una differente modalità di relazione/conoscenza rispetto a quelle in presenza, con implicazioni transferali e controtransferali – che devono essere studiate – specifiche per ogni singolo caso, ma che portano ad ipotizzare che la modalità online manterrà la sua efficacia per alcune situazioni cliniche specifiche anche nella post-epidemia. Un esempio sono i trattamenti difficili per motivi di distanza geografica ovvero situazioni con pazienti per esempio con dismorfofobie che nel trattamento online ottengono un sollievo rispetto all’angoscia dell’incontro “fisico” del trattamento di persona. Alice, 18 anni, in epoca pre-Covid, ha potuto usufruire dell’analisi a distanza che non era possibile condurre in presenza a causa di una seria anoressia, così come Roberto, 13 anni, in trattamento per un grave lutto, ha potuto proseguire le sedute anche quando per ragioni familiari ha dovuto trasferirsi in un’altra città. Alberto, un paziente di 24 anni, in analisi da sei per problemi di addiction da alcol, riguardo alle limitazioni imposte dal Covid per la terapia e l’utilizzo delle sedute online, commenta “certo, le sedute online non sono come quelle a studio ma se si fa un buon uso funzionano”.
Il setting online. Uno sguardo indietro: la “cornice” nel trattamento dell’adolescente
Winnicott ha evidenziato (1964) come nella terapia di un paziente che non ha ricevuto cure iniziali sufficientemente buone, vengano portate “richieste imponenti” senza sapere di cosa si tratti, richieste che possono essere analizzate esclusivamente nella cornice del setting. Il setting, come segnala Pellizzari (2006), garantisce le condizioni per osservare l’inconscio e permettere la sua interpretazione. La possibilità di avviare il trattamento può richiedere allo psicoanalista, in particolare con gli adolescenti, la capacità di adattamento alle richieste del paziente che irrompe fisicamente nella stanza di analisi – una differenza radicale rispetto al trattamento online – con modalità che possono variare dal rimanere silenziosi quasi immobili, all’essere rumorosi e irruenti attraverso movimenti bruschi, odori e profumi, rumori (tono della voce, sbattere gli oggetti). Tali modalità possono essere veicolate anche da un uso quasi protesico (Preta, 2007) degli strumenti tecnologici, che sollecitano l’analista ad un lavoro di significazione simbolica del materiale che il paziente porta in seduta a cui si aggiunge, in particolare, il lavoro sul controtransfert per le risonanze che può sollecitare rispetto alla propria adolescenza (Maltese, 2006). Il trattamento degli adolescenti, come nel caso di pazienti molto disturbati, può impegnare l’analista a vivere la tenuta del setting, in alcuni momenti, come elemento principale del processo di cura, mantenendo la fiducia che il paziente saprà appropriarsi del beneficio del contenimento e delle interpretazioni. Nel trattamento online dell’adolescente, l’analista è convocato ad una differente funzione di “contenitore” e “garante” del setting anche se non è raro che sia il paziente ad intervenire come nel caso di problemi di “connessione”, un termine che è anche metafora della relazione analitica online. Luca, 15 anni, un giorno in cui la seduta era difficile perché immagine e audio si bloccavano, dice all’analista “non ti preoccupare, ci penso io, proviamo con Google Meet, ti insegno”.
L’adesione alle regole del setting significa per l’adolescente compiere un adattamento analogo a quanto saprà fare l’analista nei confronti del paziente, mettendo in conto – al di là delle competenze tecniche – che possa fallire l’intake perché “non ci si prende”, una questione delicata che riguarda il processo di scelta dello psicoterapeuta a cui inviare “quel” paziente. È molto difficile avviare una terapia online senza che sia stata preceduta almeno da un incontro in presenza, anche se non impossibile. Sappiamo come l’intake con l’adolescente si caratterizzi anche per un “esame” a cui siamo sottoposti dal paziente e che riguarda ciò che siamo – fisicamente ed emotivamente –, le nostre competenze sul suo mondo (gioco, sport, musica, rapporti, linguaggio ecc.), la “location” (luogo e stanza di analisi) e per quanto tempo lo riceviamo: la stanza di analisi come “corpo” dell’analista e come tale, nel transfert, possibile oggetto di attacchi. Nel trattamento online l’analista può essere messo alla prova dal paziente sul versante “tecnologico”. Giulia, 17 anni, chiede che le venga mostrata l’immagine di un personaggio di un film avviando la “condivisione dello schermo”. La richiesta riguarda l’area del condividere nel quale l’analista deve saper mostrare esclusivamente l’immagine richiesta proteggendo gli altri contenuti presenti sullo schermo ma anche una messa alla prova della capacità dell’analista di destreggiarsi con il programma. Sarà in grado di connettersi con il mondo interno della paziente e con i suoi bisogni? Con il trattamento online il setting non è più esclusivamente nella stanza dell’analista ed è mediato dalle immagini negli schermi che sono riprese dalle videocamere. Inoltre, nel setting online, l’analista non è più garante della privacy del paziente –indipendentemente dall’età – come avviene nelle sedute in presenza ma sarà anche il paziente che dovrà attivarsi – e se questo non accade è oggetto di interpretazione – per tutelare il setting. Il setting online richiede pertanto una collaborazione tra analista e paziente differente dal setting in presenza.
Lo tzunami
L’arrivo del Covid ha avuto alcune caratteristiche simili all’arrivo dello tzunami (termine utilizzato anche da Sarno, 2020). Il termine giapponese tzunami è composto dalla parola tzu = porto e nami = grande onda. È entrato nel nostro vocabolario grazie alla tecnologia che ha mostrato scene con dettagli inediti e permesso di assistere agli eventi in diretta in occasione dei tragici eventi accaduti il 26 dicembre del 2004 nel Mar del Giappone. La caratteristica è la comparsa di un’onda distruttiva in una condizione climatica spesso serena che nulla fa presagire. Una realtà che introduce il tema del perturbante, del familiare che diviene alieno e persecutorio. Paolo, sedici anni, in terapia per difficoltà scolastiche, in seguito ad una violenta conflittualità tra i genitori per rappresentare l’esperienza vissuta, dice “Aoh, te devo dì ‘na cosa! È successo un casino! No tzunami!”.
Nel gennaio del 2020 il clima sociale in Italia tutto sommato era sereno – a parte i problemi economici e politici – e si accennava ad un’epidemia influenzale scoppiata a Wuhan, in Cina, che sembrava troppo lontana per essere vicina. Le ipotesi che circolavano erano che i cinesi avessero creato un virus in laboratorio e che fosse “scappato” o che si fosse sviluppato attraverso il contatto con i pipistrelli. Il clima comunque era “disteso” e gli adolescenti in difficoltà proseguivano le loro psicoterapie in presenza senza che ci fosse la minima ombra rispetto a quello che stava per scatenarsi improvvisamente, anche perché una parte del mondo adulto – che, come canta Paolo Conte in Boogie, a volte è un mondo dove “si sbaglia da professionisti” – sembrava minimizzare quanto stava accadendo. E gli adolescenti? Anche loro proseguivano con le richieste di terapia per difficoltà nello studio, nella socializzazione, disturbi del comportamento e delle “condotte”, il consumo di “canne” (marijuana) e soprattutto la “famigerata” addiction da telefonini ecc. Le reazioni all’inizio dell’epidemia con molti pazienti adolescenti sono state di indifferenza ma anche di negazione, purtroppo veicolata dalle deprecabili esternazioni di personaggi pubblici che hanno minimizzato la realtà prima di doversi ricredere.
Poi il virus si è diffuso rapidamente e drammaticamente e l’intera collettività si è resa conto che la situazione era molto seria. Nella diagnosi dell’adolescente una variabile rilevante è la presenza della capacità di preoccuparsi in modo responsabile (Winnicott, 1963) che si coniuga con una adeguata capacità, compatibile con l’età, di esaminare la realtà. Lo spettacolo sociale legato all’esplosione violenta della pandemia è stato di grande smarrimento. Lo tzunami. Ma gli adolescenti? Hanno affrontato il primo improvviso duro lockdown (confinamento) senza che parte del “mondo adulto” prendesse in considerazione quanto fosse difficile la situazione anche per loro: non è stata considerata una priorità il bisogno di socializzare, fare sport e frequentare la scuola, la possibilità di vaccinarli. Mentre si discuteva se la distanza di un metro tra i banchi nelle classi andasse misurata partendo dalla rima labiale degli studenti, questi restavano in casa nel trionfo della disponibilità di telefonini e PC che in parte compensava la grave perdita di socializzazione.
Il setting nel trattamento online dell’adolescente
È complicato avviare una terapia a distanza, con gli adolescenti ancora di più per il bisogno che hanno di incontrare l’analista, vederlo e sentire, prima di capire, se si possono fidare. Un’iniziale distinzione va fatta in relazione all’età del paziente, al livello di autonomia nell’uso dello strumento tecnologico, alla qualità della connessione e alla disponibilità di uno spazio e un tempo nel quale poter partecipare con tranquillità alla seduta. In qualche caso i pazienti adolescenti, durante il lockdown più rigido, hanno scelto di andare sul terrazzo condominiale o per la strada per avere uno spazio protetto dalla presenza intrusiva dei familiari. Lo svolgimento del trattamento online richiede infatti che l’adolescente si senta sufficientemente tutelato, di non essere ascoltato da altri e possa disporre di un apparecchio che dia garanzie di tenuta nel corso della seduta. Nella prima fase di confinamento alcuni adolescenti hanno rifiutato le sedute online perché non si “trovavano”: si sono mostrati disorientati portando quindi in terapia la difficoltà a realizzare quando stava loro accadendo. Si può ipotizzare che le pesanti e necessarie limitazioni imposte dal contenimento dell’epidemia abbiano risuonato per alcuni adolescenti – e non solo – come una deprivazione (Winnicott, 1984) e siano emerse nel transfert attraverso una ribellione, un rifiuto “rabbioso” della seduta: una possibile protesta rispetto alla perdita della sensorialità/socialità nella vita quotidiana senza prospettive certe di recupero. È stato possibile mantenere comunque un aggiornamento sulla loro situazione attraverso la “messaggistica”. Altri pazienti invece, dopo un disorientamento iniziale, hanno proseguito con naturalezza il trattamento online portando le loro angosce e i sentimenti depressivi legati ad una condizione assolutamente inedita. Un capitolo a parte riguarda il ruolo dei genitori nel trattamento online. Dalla loro collaborazione dipende la possibilità che i figli possano fruire di un setting che garantisca il lavoro analitico.
Un tipo particolare di trattamento analitico in remoto: il paziente adolescente “cannarolo” [Niccolò Gozzi, Valeria Gristina, Francesca Tranquilli, Valentina Trombacco]
Le esemplificazioni cliniche che seguono riguardano una tipologia particolare di pazienti, i consumatori di marijuana, i “cannaroli”. Nella nostra esperienza, questi pazienti hanno mostrato durante la psicoterapia di utilizzare la modalità online per portare contenuti che non erano emersi nel corso delle sedute in presenza. Inoltre non abbiamo registrato il rifiuto a proseguire il trattamento in remoto. La nostra ipotesi è che la seduta online – indipendentemente dalle restrizioni imposte dal lockdown – possa rappresentare un’opportunità per tutti gli adolescenti, in alcuni casi specifici e in alcuni momenti particolari del trattamento, per esempio quando il paziente rifiuta di venire in seduta adducendo motivi di stanchezza o eccesso di compiti. La relazione madre-bambino non può essere virtuale e la stanza di analisi propone una sensorialità che si sovrascrive sulle tracce delle esperienze precoci e sostiene/caratterizza la relazione transfert-controtrasfert. Questa sensorialità è limitata e differente nelle sedute online. Le sedute in presenza possono in alcuni casi risultare eccessive per il paziente – in particolare per l’adolescente che sta facendo i conti anche con le proprie trasformazioni corporee/psichiche (Nicolò, Ruggiero, 2016) – perché sollecitano a livello inconscio il recupero e l’amplificazione di sensazioni e vissuti legati ad esperienze di impingement genitoriale. Pertanto la gestione da parte dell’analista del trattamento online con caratteristiche simili al gioco – per esempio sostenendo la creatività nella condivisione dello schermo –, può permettere l’emergere di vissuti profondi con qualità meno persecutorie.
Lo psicoterapeuta deve però contemporaneamente saper valutare se e quando il paziente utilizza l’online al servizio delle proprie difese mantenendo costantemente attivo l’assetto analitico.
Un consistente numero di adolescenti consuma marijuana: sebbene sulla base della nostra esperienza clinica riteniamo che le percentuali siano maggiori, il 33,5% degli studenti 15-19enni, 850.00 ragazzi, ha utilizzato cannabis almeno una volta nella vita e il 25,8% l’ha usata nel corso del 2019, secondo la relazione annuale (2020) al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia. Alcuni di loro hanno una dipendenza che li costringe ad assumere una dose giornaliera. Le “canne” in circolazione sono differenti da quelle del secolo scorso perché gli spacciatori hanno messo in commercio erba e fumo con percentuali di THC, il principio attivo, particolarmente elevate. Questo induce un maggiore “sballo” che si traduce in effetti specifici per ogni consumatore. Di fatto per alcuni nostri pazienti il “fumo” ha una funzione analoga ad uno psicofarmaco, senza esserlo, perché diviene occasione di socializzazione, influisce silenziosamente sul tono dell’umore con un apparente effetto ansiolitico. La clinica evidenzia invece la comparsa di vissuti paranoidei, stati d’ansia, distorsione del pensiero e una tendenza a “ovattare” l’esame di realtà. Non sempre i pazienti adolescenti intraprendono un trattamento per motivi legati alla dipendenza da THC di cui spesso i genitori sono all’oscuro.
Dal nostro punto di vista, gli adolescenti che fanno abitualmente uso di cannabis potevano apparire come una categoria di pazienti potenzialmente più fragili di fronte all’impatto dell’emergenza sanitaria e per le conseguenze dell’isolamento sociale a essa connesse.
Come avrebbero retto alle limitazioni e al rischio di non poter più riuscire ad utilizzare la loro auto-cura prescelta? Il rischio era forse rappresentato dalla maggiore possibilità di frammentazione, laddove un equilibrio psichico pressoché instabile si era assestato sullo (pseudo)appoggio concreto ad una sostanza. Inoltre, venendo a mancare il concreto contenimento del setting nella stanza di analisi, cosa sarebbe accaduto? Come avrebbero affrontato il lavoro psicoterapeutico?
Il venir meno del qui ed ora nella stanza di analisi all’inizio della pandemia ha richiesto una soluzione di soccorso – il collegamento online – la possibilità di raggiungersi in un altrove rispetto alla stanza di analisi, diverso ma reale, che ha dato la possibilità di ritrovarsi. Il collegamento online ha sostenuto il mantenimento del legame e dell’alleanza già costruite e ha potuto rappresentare una garanzia di fronte al rischio della dispersione, dell’interruzione del processo terapeutico imposto dall’isolamento. Inoltre ha rappresentato un elemento di continuità proprio nel momento in cui ai nostri pazienti sono venute meno le occasioni “normali” di socializzazione: scuola, amici, sport, ecc. La realtà legata alla pandemia è divenuta luogo perturbante, abitata da oggetti persecutori, proiettati continuamente dal contesto sociale adulto confuso nell’affrontare l’emergenza, con la conseguenza che gli adolescenti non potevano più vivere la realtà esterna come luogo dove fuggire e ripararsi dai tumulti interni, dalle tensioni ambientali/familiari. Per sottrarsi al proprio malessere rimaneva la camera da letto, la canna e il mondo virtuale dove anche la mente è bloccata nel qui ed ora. Silvia di 15 anni: come faccio a pensare al futuro se tutti parlano sempre e solo del presente?
La stanza dell’adolescente e l’uso costante di canne creano una sorta di rifugio, inteso come lo descrive Steiner (1996), un luogo protetto dove ritirarsi dalle tensioni, dalle angosce e dalle ansie. È un rifugio che si caratterizza per un possente uso di difese e nel quale il paziente può diventare irraggiungibile. Se ciò è transitorio questo non rappresenta necessariamente un problema, ma se diventa una struttura psichica permanente si manifesta un’alterazione nella percezione della realtà che permette di eludere le frustrazioni e sviluppare uno pseudo-adattamento al mondo reale. Nel corso del lockdown i pazienti hanno permesso all’analista, attraverso il setting online, di accedere a questi luoghi rifugi delle mente consentendo il lavoro di simbolizzazione. Potremmo immaginare la psicoanalisi online come la costruzione di un ponte che offre al paziente la prospettiva di un collegamento con il mondo esterno, il contatto con una realtà ancora viva ed esistente. Talvolta può capitare nelle sedute in presenza che il paziente non sia contattabile, connesso, e l’analisi non progredisca, si incagli in una formale vicinanza. Il veicolo tecnologico può rendere più sfumata la distanza, e attenua la paura del contatto analista/paziente. Inoltre la canna, fumata inaspettatamente in seduta, ha forzato l’analista a prendere in carico una dimensione concreta, corporea, differente e limitata nel trattamento online rispetto alle sedute in presenza, una dimensione che però richiede un intenso lavoro di rappresentazione e simbolizzazione.
Salvatore [Niccolò Gozzi]
Salvatore, 23 anni, consumatore di marijuana dall’adolescenza, in analisi per un blocco negli studi, non ha mai nascosto di fumarsi le canne, ma l’analisi rimaneva su un piano superficiale, non progrediva, durante una seduta via Skype esordisce così:
P.: dottore ho fatto un sogno, ma non glielo racconto, se no si spaventa.
A.: Se si guardano insieme certi sogni o pensieri possono fare meno paura. Salvatore rimane in silenzio e piano piano comincia a rollarsi una canna. Il tema del fumo non era mai stato un tabù, ma mai lui era arrivato a questo, cioè a mostrarmi, seppure dietro il medium dello schermo, la fisicità della canna. Neanche in studio era mai arrivato con l’odore della canna sui vestiti, era qualcosa che rimaneva sullo sfondo, nel fantasmatico, non scendeva mai nel concreto. Ed ora invece eccolo lì, davanti a noi, tutta la ritualità della canna, tutti gesti consumati ed esperti, l’analista spettatore silenzioso. La canna viene rollata, accesa e fumata e dopo qualche tiro Salvatore si rilassa, lo vedo che si adagia sullo schienale, la testa reclinata all’indietro e poi riprende a narrare.
P.: Ho sognato che la mia ragazza mi entrava nella testa, mi comandava i pensieri ed io allora le rompevo un piatto in testa.
A.: Forse la paura di cui mi parlava non era per me, ma era una sua paura, aveva avuto paura di quel sogno.
P.: Non so più se è un sogno oppure è successo per davvero.
Intanto continua a fumare. L’analista aspetta in silenzio.
A.: Mi sembra che la canna la abbia protetto dai pensieri, come lei voleva proteggere l’analista non dicendomi il sogno, così la canna ha protetto lei dal pensare a quello che stava vivendo. Il fumo allontana l’obbligo di guardare ciò che fa paura. Lei teme molto le sue fantasie, teme che si avverino come il desiderio di spaccare in testa il piatto alla sua fidanzata (o all’analista) e quando in seduta andiamo a vedere da vicino questi pensieri nella seduta successiva Lei arriva in ritardo o la salta.
Salvatore rimane in silenzio e poi: si, ogni tanto fumo via i pensieri…
Emma [Valeria Gristina]
All’irrompere del lockdown, con Emma ci siamo interrogate: dove troviamo un setting se un setting non ce l’abbiamo più?
Emma vive in una piccola casa, con la sorellina di un anno e mezzo, la mamma e il suo compagno. Fa le videolezioni sul suo cellulare, non ha un computer, e la sua stanza ha le pareti sottili. Dove mi metto? Mi chiede quando prendiamo accordi sui nuovi orari delle sedute online. Abbiamo pensato subito di trovarci alla fine delle sue lezioni, e di non fare la seduta in camera sua ma nella macchina di famiglia o, con l’arrivo delle belle giornate, sul suo terrazzo condominiale.
Una volta ricreato un setting vero e proprio, un orario e un luogo, l’atmosfera rarefatta del suo pensiero che si diradava nella mia stanza durante le nostre sedute in presenza, si sprigiona allo stesso modo attraverso la connessione Internet delle nostre video/sedute su Facetime.
Si può dire che la qualità delle sedute online sia rimasta invariata da quelle in presenza?
Sul piano transfert-controtransfert le dinamiche di scambio sembravano alquanto familiari; la sua scarsa possibilità associativa si tramutava in un necessario impiego vicario della mia mente per pensare al posto suo e costruire i fili, i legami associativi tra le nuvole rarefatte del suo pensiero.
Così dopo un primo momento di smarrimento, di mia riflessa rarefazione, ritrovavo la possibilità di non soccombere a quella distanza emotiva così ben ottenuta attraverso l’assunzione di cannabis (in quarantena non più possibile per lei), una distanza riproposta dalle sedute online. Sono stata sollecitata a mantenere viva la mia capacità di pensare, a funzionare come una mente ausiliaria, in cerca di parole che potessero significare e soprattutto legare i suoi smarriti vissuti emotivi.
Emma sogna di curare questo suo ‘non sentire niente e capire niente di quello che ha dentro’ con un altro strato impermeabile al dolore, una quarantena dalle emozioni che solo fumando riesce a trovare. Emma mi racconta che sogna una canna lì, su quella terrazza, con la sua amica, vicina di casa, non vede l’ora perché ora non ne può più. Già chiusa nelle sue grandi fragilità, sogna di isolarsi ancor di più dall’esterno tanto minaccioso ed intercedente, come in una matrioska. Ecco vorrebbe diventare così, una matrioska a tanti strati, così che non senta più niente.
Nelle sessioni online è in effetti il corpo che rimane fuori (si veda Cannella-Merciai e Goisis in questo stesso numero), tutto il corollario non verbale che le sedute veicolano e che imprimono ulteriori significati al materiale verbale. Il corpo inebetito di sensazioni legate alla sostanza, si distanzia però da sé stesso, e forse rimane un punto critico, un angolo cieco proprio nella terapia online, dove il corpo è isolato da quello scambio naturale e sociale, e si appiattisce nello schermo delle videosedute.
Riccardo [Francesca Tranquilli]
Un insolito dare del lei “…aspetti…mi sente?” è l’incipit del primo incontro virtuale con Riccardo. Ci eravamo salutati dal vivo in coincidenza del decreto #iorestoacasa emanato il 9 marzo 2020. Il collegamento soffre la fatica della connessione Internet, della applicazione Skype di adulta connotazione, e del doversi servire dell’account della madre. Riccardo nel 2020 dovrà compiere 18 anni, piazza il tablet su una mensola in alto, la prospettiva si allontana, mi sento collocata distante, e mi balena nella testa il fatto che farà di tutto per farmi percepire l’arbitraria possibilità che ora ha di collocarmi ovunque lui voglia, di fare di me ciò che vuole, ora che il setting è un bel po’ smontato. Anche io mi sento smontata, vedo il mio volto nello schermo che provoca in me una sensazione straniante: estranea è la scenografia che posso proporgli (casa mia), la mia voce che passa attraverso un altro canale ancora, e non va al ritmo dei movimenti visibili, ogni cosa è separata. Ed è così che spesso finisco con lo sguardo rivolto verso il soffitto, oppure ad assistere al vagare di Riccardo nella stanza, rendendosi visivamente irraggiungibile, come giocasse a nascondino. Faccio uno sforzo, quello di pensare di dovergli essere grata per aver accettato quanto gli sto offrendo. Penso che Riccardo stia tentando di rendere ruvido e manipolabile uno scambio che potrebbe essere vissuto come piatto e surreale.
Seguo Riccardo dall’età di 14 anni e si può dire che abbia “imparato” a farsi le canne durante il trattamento. Perché vivere un’adolescenza può voler dire passare attraverso l’esperienza del fumare nel gruppo dei pari, come tentativo di ritrovarsi come gli altri e con gli altri alle prese con uno smarrimento di Sé. L’aggancio terapeutico con Riccardo è certo, sin dagli inizi (anche grazie alla buona tenuta dei genitori) con la frequenza di due sedute settimanali, rari ritardi o assenze, ma feroci gli attacchi, l’ironia beffarda con annessa svalutazione. Entrando nella sua stanza in una condizione di necessità, che rende la questione “intrusiva”, mi sento lanciata indietro, nei tempi in cui il setting e l’analista venivano messi continuamente alla prova. Penso che giocare e manipolare la mia presenza ridotta a immagine nello schermo, sfiorando onnipotenza ed impotenza nello stesso tempo, sia il modo in cui Riccardo tenti di collocarmi come oggetto vivo, reale, che può utilizzare creativamente, confermando la mia identità di analista come quando eravamo nella stanza. Winnicott nell’esporre la sua tesi sui fenomeni transizionali e l’uso di un oggetto, asserisce “[…] se l’oggetto si deve usare, esso deve necessariamente essere reale, nel senso di essere parte di una realtà condivisa, e non un fascio di proiezioni” (Winnicott, 1969 p.142). Nonostante lo smottamento delle condizioni ambientali, è possibile che il paziente riesca a conservare la capacità di collocarmi, come oggetto, al di fuori del controllo onnipotente o come realtà proiettiva. Nel controtransfert ho sentito di esistere per il paziente.
Nel corso delle sedute in videochiamata i riferimenti al mondo reale proposti da Riccardo sono frequenti, mostrando lo scenario multidimensionale, la presenza di oggetti, suoni ed odori, dei cenni che fanno parlare la sensorialità, nel tentativo di lanciare dei “segnali di vita” (citando Franco Battiato) che possano bucare lo schermo, a dimostrare che il tempo non si sia arrestato anche se tutto si è fermato. È capitato che spruzzasse del profumo e lo lasciasse evaporare di fronte a me, sostenendo ci fosse della puzza, comunicandomi così che la continua e solitaria presenza nella stanza stia diventando maleodorante, che gestire il corpo adolescente da soli può essere spiacevole o spaventoso.
Freud nel descrivere la trasformazione della libido in angoscia espone un chiarimento sull’origine dell’angoscia nei bambini, portando l’esempio di una scena alla quale assistette, riferibile al nipotino di tre anni, che trovandosi in una stanza al buio disse: “Zia parla con me; ho paura del buio.” La zia allora gli rispose: “Ma a che serve? Così non mi vedi lo stesso.” “Non fa nulla – ribatte’ il bambino – se qualcuno parla c’è la luce.” (Freud, 1905, p. 529). La risposta ad uno stato di angoscia e smarrimento può passare attraverso una richiesta di contatto e di offerta di un contatto. Mi ha sempre colpito l’espressione inglese keep in touch solitamente espressa in prossimità di un saluto, perché rende bene l’idea del potersi dichiarare la volontà di mantenere il contatto, (fisico, visivo, uditivo) molto più evocativo dell’italiano ci sentiamo.
L’intervento di un agente esterno ha aperto un divario tra il possibile ed il desiderato, l’effetto di “congelamento” delle possibilità determinato dalle restrizioni ha consentito di aprire una riflessione su quali fossero gli impedimenti psichici al raggiungimento delle mete fino ad ora non raggiunte. Come se l’effetto blindante della pandemia avesse messo in sospensione le difese o le paure, lasciando intravedere meglio cosa si cela dietro di esse, rendendo più accessibili al pensiero i desideri inconsci, ed avere l’occasione di osservare insieme (paziente ed analista) aspetti diversi del funzionamento psichico. Una riflessione emersa nel corso delle sedute a distanza con Riccardo è stata “mi sento uno sciocco se penso a tutte le cose che non ho fatto, per pigrizia, perché perdevo tempo facendo cose inutili, perché mi ammazzavo di canne”. A distanza di un anno e mezzo dal fermo da parte delle forze dell’ordine per detenzione di sostanze stupefacenti, giunto come un importante richiamo superegoico, cresceva in Riccardo la consapevolezza che il sentimento di trasgressione, l’eccitazione da condivisione con il branco lasciassero sullo sfondo il suo bisogno di “gestire” i turbamenti emotivi. Nel tempo in cui le piccole scorte di hashish si riducono, le possibilità di incontrare gli amici sono bandite e la reperibilità è in tilt, come si fa a conservare la sensazione espressa nella frase “con le canne se il cielo è grigio esce il sole, non pensi più a niente; cioè non è che non pensi, pensi anche di più però sei rilassato … scialla … però non è sempre così”? Insieme ragioniamo sul fatto che l’uso prolungato di questo potente sedativo avesse inciso sulle capacità del pensiero e dell’azione. Le canne avevano preso il posto di altro consumando progressivamente le sue energie psichiche.
La pressione dell’angoscia relativa alle notizie quotidiane dei numeri delle persone ricoverate e morte viene portata da Riccardo in una delle sedute online. Tenta di celare la preoccupazione con le sue solite riflessioni scientifiche. Riccardo ha la porta-finestra della camera aperta su un balconcino, si allontana ed esce a fumare. Inizia a raccontarmi cosa vede, mi parla di un monte, penso stia lanciando lì i suoi desideri di libertà, mi elenca i vari paesini circostanti soffermandosi sul colore rosa quasi eccitante del tramonto. La sigaretta accesa in questo scenario semi-onirico sembrerebbe veicolare una intensificazione delle sensazioni positive, come se cercasse di attenuare l’angoscia legata ai continui aggiornamenti sull’epidemia “con un tramonto così mi drogherei”. Mi sento trasportata da Riccardo nell’intensità piena di ciò che sta sperimentando, quel tramonto così fluo è una momentanea illusione, è la porta d’ingresso ad una realtà dissociativa, al pari del livello semi allucinatorio delle nuvole emanate dal fumo della marijuana. Che però ora non c’è.
Carlotta [Valentina Trombacco]
Carlotta ha 20 anni ed è in terapia da 4 anni per attacchi di panico ed agorafobia. Quando aveva 14 anni le canne la facevano “sentire grande”, rispetto alle compagne della sua età, aveva molta libertà ed era molto popolare anche tra i ragazzi più grandi. In prossimità dei 16 anni, inizia a soffrire di ansia e l’uso delle canne diviene più frequente ed assume una qualità diversa, una sorta di auto- cura nel tentativo di tenere a bada le ansie legate alla “paura di crescere”. Il passaggio dalla terapia in presenza a quella online non è stato immediato, dietro l’iniziale titubanza si celava il timore della violazione dell’intimità della sua stanza dentro la quale si era sentita reclusa ma anche protetta quando il panico la bloccava in casa. Attraverso i racconti di Carlotta avevo costruito nel tempo dentro di me l’immagine di quella stanza, dei suoi disegni appesi alle pareti, dei suoi vestiti accatastati sulla sedia quando cercava inutilmente di prepararsi per uscire. La sua stanza era spesso scenario del suo malessere ma anche di fantasie e desideri rispetto a quello che avrebbe voluto “fare da grande”. Entrare concretamente in quel luogo, mi faceva sentire nel controtransfert di irrompere in uno spazio top secret: mi ritrovavo nella posizione in cui ero all’inizio del lavoro terapeutico con lei, quando sentivo di dover procedere con molta delicatezza per evitare fughe – le sedute saltate – e le sue chiusure. Dopo alcuni messaggi e un colloquio telefonico, ci sentiamo finalmente pronte a sperimentare gli incontri online. All’inizio siamo rimaste sorprese di quanto fosse naturale incontrarci attraverso lo schermo e parlare con un senso di liberazione delle angosce legate alla pandemia: ora le ansie si ancoravano ad una persecuzione reale, la pandemia. Carlotta continuava a farsi le canne, anche se meno del solito, con il consenso tacito dei genitori che a volte le fumavano con lei. All’inizio di una seduta commenta: “che strano vederti apparire nella mia stanza!” Nel corso dell’analisi era riuscita a vincere la paura di uscire e venire in seduta quando gli attacchi di panico erano diventati meno frequenti. La strada percorsa per raggiungere lo studio era divenuto un modo per “prepararsi all’incontro”, ma ora che questo non era possibile, la presenza della terapeuta nella sua stanza veniva vissuta da Carlotta con una qualità perturbante. Con il procedere delle sedute online recupera un ricordo infantile, il “gioco del nascondino” che aveva fatto insieme alla figlia adolescente di un amico del padre durante una vacanza estiva. C’era qualcosa in quel gioco che ora coglie come malizioso, era molto attratta da quella ragazza più grande che giocava con lei. Questo ricordo contiene anche una comunicazione di transfert: dalla memoria raggiunge il lavoro terapeutico connotato dal suo “nascondersi e lasciarsi ritrovare”. Durante gli anni di terapia è la prima volta che racconta un ricordo simile, Carlotta stessa si stupisce di aver pensato a quella ragazza che non ha più rivisto da allora. Come mai il ricordo compare proprio in questo momento? Credo che questa dimensione dell’“essere e non-essere” in un assetto terapeutico per certi versi più onirico, possa aver facilitato l’emersione di contenuti allentando una forma di controllo di sé e dell’altro. Carlotta infatti racconta ancora una volta di quanto la vicinanza sia per lei eccitante ma anche seduttiva. Nelle ultime sedute prima della ripresa degli incontri a studio, comunica la difficoltà di “rivedersi in presenza”, la paura di riaffacciarsi al mondo fuori reso persecutorio dalla pandemia ma anche la paura di rivedersi e di rimettere insieme e rimaneggiare aspetti di sé che erano emersi durante le sedute online.
Conclusioni
Il trattamento psicoanalitico online avviato per necessità durante l’emergenza da SARS-CoV-2, è divenuto un’opportunità disponibile per gli adolescenti in relazione a particolari esigenze terapeutiche. Non costituisce la scelta privilegiata avendo la possibilità di scegliere la seduta in presenza ed è responsabilità dello psicoterapeuta utilizzarlo. Già in epoca pre-epidemia è stato possibile condurre dei trattamenti con risultati clinici significativi, trattamenti che hanno ricevuto un’accelerazione con le limitazioni imposte dal contenimento della diffusione del virus. Un tema centrale è la garanzia e la qualità del setting che, rispetto ai trattamenti in presenza, non è più gestito esclusivamente dallo psicoanalista che viene così convocato ad una maggiore attenzione e lavoro nell’area del transfert/controtransfert. Un aspetto che vogliamo evidenziare è la fatica: lavorare in remoto è per noi più pesante – dalla luminosità dello schermo, all’attenzione – e privato di quell’elemento libidico che appartiene alla passione per il lavoro psicoanalitico in presenza. L’analisi online con i pazienti consumatori di marijuana ha introdotto degli “agiti” – come il paziente che con aria di sfida si è “rollato” la canna davanti allo schermo – e ha costituito nel transfert, un’importante occasione terapeutica su aspetti inconsci come quelli relativi al rapporto con il Super-Io, a cavallo tra disinibizione/provocazione. Il riferimento clinico a pazienti con addiction da cannabis ci fa ipotizzare che nella psicoterapia online i pazienti anche con altre patologie possano portare contenuti che rimanevano volontariamente omessi o inconsciamente rimossi, che possono essere recuperati e rielaborati nelle sedute in presenza.
Un epilogo
Quasi tutti i nostri pazienti adolescenti hanno tollerato il passaggio alla terapia online. Solo pochissimi hanno preferito sospendere, in attesa delle sedute in presenza. L’impressione è che la terapia in remoto sia stata utilizzata come pretesto per interrompere il trattamento: alcuni pazienti non sono tornati anche quando è stato possibile riprendere. Nei periodi in cui si è allentato il lockdown, quasi tutti hanno espresso il desiderio di tornare a studio, a volte alternando col remoto perché preferivano fare terapia online senza mascherina piuttosto che in presenza, distanziati e con la mascherina. Oppure perché era difficile recuperare la vicinanza con l’analista. La categoria degli adolescenti non rientra, al momento della scrittura di questo articolo, tra le priorità nelle vaccinazioni anche se sono naturalmente tra i più esposti ad una minore osservanza delle regole – non tutti – che significa distanziamento, mascherina e igienizzazione delle mani. Gli insegnanti delle classi del liceo possono raccontare quale osservanza delle regole mostrano gli alunni fuori e dentro la scuola. Gli adolescenti quando tornano a casa facilmente possono diffondere il virus in famiglia. Non possiamo prevedere quale futuro avrà il trattamento psicoterapeutico online. Ha lasciato però una traccia indelebile e confermato la possibilità di disporre di uno strumento clinico efficace che può raggiungere pazienti altrimenti non trattabili, per esempio per motivi di distanza da un terapeuta.
Abbiamo però rilevato nei nostri pazienti adolescenti una condizione preoccupante. Il tono dell’umore risente di intensi momenti depressivi che li attanagliano perché vedono desertificate gran parte delle loro possibilità di vivere la socializzazione e il proprio corpo, a cominciare dalla sessualità. L’anedonia e la mancanza di piacere sono il prezzo che stanno pagando. Dopo lo tzunami, quello che rimane ora è un grande vuoto. C’è molto da fare per curare e sostenere psicologicamente gli adolescenti – emotivamente feriti dal distanziamento – ai quali è stata data, durante l’epidemia, meno attenzione rispetto a quella di cui hanno bisogno e diritto.
Articolo pubblicato su "Funzione Gamma", rivista telematica scientifica dell'Università "Sapienza" di Roma Registrata presso il Tribunale Civile di Roma (n. 426 del 28/10/2004) – www.funzionegamma.it