Quando i bambini cominciano a percepire i primi suoni?
La relazione madre – bambino – suono ha inizio nell’utero materno, inteso come luogo dell’ascolto e dell’accoglienza dove il feto, corpo vibrante, è contenuto e protetto dentro un altro corpo vibrante. I rumori ed i suoni del corpo materno, i rumori intestinali, il battito cardiaco, l’ondeggiare del diaframma, rappresentano un involucro sonoro costante. La voce materna, percepita dal feto sul corpo ed ascoltata, crea, invece, una discontinuità in questo insieme continuo; è qualcosa di esterno che ha caratteristiche di imprevedibilità ed incontrollabilità, è personale, con qualità individuali, linguistiche e culturali, attraverso di essa sono trasmesse anche le fluttuazioni degli stati interni. Il suono della voce materna è alternato al silenzio, alternanza non sempre consonante con i bisogni del feto, al contrario del bagno sonoro costante in cui il feto stesso è immerso; questo gli fornisce una piccola e prima esperienza di presenza ed assenza. Quello che il feto riconosce negli ultimi tre mesi della gravidanza riuscirà a tranquillizzarlo e calmarlo dopo la nascita, tenendo, comunque, conto che lo sviluppo dell’orecchio è completo dalla ventiquattresima settimana di gravidanza.
Come nei bambini è possibile sostenere la lallazione come transito verso il linguaggio?
Le vocalizzazioni emesse dal bambino, verso i due- tre mesi, sembrano imitare gli aspetti ritmici e melodici dei suoni emessi dall’altro, in particolar modo il canto della madre. Il parlare ed il canto dell’adulto sono la base per le sperimentazioni effettuate dal bambino tra i sette e i dodici mesi di vita in cui realizza i primi tentativi di canto che si costituiscono giocando insieme, genitori e bambino, a ripetere e a variare intonazione e ritmo delle vocalizzazioni infantili. Intorno al settimo e il nono mese di vita, madre e bambino si accordano, così come fanno i musicisti, per entrare in risonanza emotiva l’uno con l’altro e, scambiandosi suoni, cominceranno la condivisione silenziosa di emozioni, sentimenti, pensieri. Proprio come musicisti, madre e bambino iniziano a giocare con il binomio ripetizione /variazione: la ripetizione implica necessariamente la variazione, visto che ogni ripetizione non è mai ripetizione dell’identico, ma sempre altamente produttiva e creativa, fondatrice di un tempo e di una durata organizzati, ritmati, anticipabili. In questo scambio la madre offre sollecitazioni, ma allo stesso tempo concede al bambino spazi di silenzio per l’elaborazione. La voce materna costituirà poco per volta il primo riferimento ed il primo rafforzamento del Sé, giocando un ruolo di specchio sonoro che riflette le esperienze vocali del bambino, rafforzandole. Diventano, quindi, fondamentali gli scambi che avvengono all’interno del gruppo familiare e quelli che successivamente avvengono a livello del gruppo sociale. Possiamo immaginare un raffronto tra gli scambi familiari intorno al neonato ed i gruppi di improvvisazione musicale: entrambi tendono, o dovrebbero tendere, allo strutturarsi di relazioni sonore che toccano ed avvolgono.
Come si evolve lo sviluppo della musicalità nel bambino?
Dopo il primo anno di vita il bambino compie la sua esplorazione sonora per prove ed errori. A due anni con canti improvvisati e spontanei. A partire dai tre anni sperimenta la possibilità di interpretare emozioni ed idee musicali con il movimento del proprio corpo. Lentamente si sviluppa una propria sensibilità musicale e verso i quattro anni comincia a dondolarsi a ritmo di musica. Solo, però, verso i sei anni il bambino riuscirà a riprodurre, senza un preliminare apprendimento, le combinazioni di durata. Tra i sei ed i sette anni c’è una fruizione ed una produzione dei suoni e della musica. Seguendo il pensiero di un autore francese, Delalande (2001), possiamo parlare di condotte musicali, cioè azioni coordinate tra loro in una strategia dotate di un fine. Abbiamo, per questo, una condotta esplorativa basata sul lavoro di scoperta e sperimentazione sonora. Successivamente una condotta espressiva in cui il bambino attribuisce al suono la capacità di rappresentare, di avere senso in un contesto ed evocare. Ed infine, una condotta organizzativa legata alla creazione di regole nell’organizzazione dei suoni, regole che possono essere seguite o create, fase più caratteristica degli anni della scuola elementare, momento in cui l’apprendimento ed il poter comunicare attraverso il sonoro può avvenire all’interno del gruppo dei pari, attraverso una sperimentazione che avviene in prima persona, attraverso l’uso del proprio corpo, della propria voce, della propria creatività, del proprio libero movimento, ma anche attraverso il confronto e l’appoggio con l’altro. Giocare con i suoni può avvenire anche senza studiare uno strumento specifico.
Che legame tra gli adolescenti e la musica?
Il momento dell’adolescenza può essere spesso immaginato come intriso dalla musica e dalla sonorità che sono spesso utilizzate dai ragazzi sia per ritrovarsi e sperimentarsi nei suoni ascoltati ma anche come strumento per socializzare e creare contatto e vicinanza all’interno del gruppo dei pari. Molto spesso, si assiste ad una preferenza per l’uso di strumenti negli adolescenti maschi, mentre le ragazze preferiscono avvicinarsi al canto. Probabilmente queste preferenze ci raccontano anche di come, a livello culturale, trasmettiamo il contatto e la scoperta del nostro corpo, per i maschi più di contatto manifesto, per le femmine come una risonanza interna ed una scoperta di sé e del proprio interno. L’ascoltare musica da soli, lontani dal gruppo familiare, aiuta gli adolescenti nel potersi maggiormente avvicinare al gruppo dei pari e nelle difficili sfide evolutive del tempo dell’adolescenza. La musica ascoltata, suonata e spesso creata dagli adolescenti diventa anche un modo per poter esprimere i propri vissuti, per raccontare qualcosa di sé, senza sentirsi completamente scoperti. Penso ai diversi generi musicali, come il rap-trap ma anche a generi meno attuali come il punk, lo ska; ma anche ai tanti brani composti da giovani adolescenti in una lingua diversa della propria come a poter raccontare e celare contemporaneamente. Spesso anche nel lavoro di psicoterapia con gli adolescenti, la musica è utilizzata come modalità per identificarsi con un determinato genere musicale o un cantante, parlando si sé e dei propri vissuti attraverso una determinata canzone o un cantante-gruppo musicale. Credo che nel lavoro di psicoterapia con gli adolescenti, ma ad ampio raggio anche con bambini, coppie ed adulti, il sonoro non intenzionale, quello ad esempio legato a movimenti del corpo oppure al battere di oggetti, ci permetta di ascoltare e cogliere qualcosa che non può essere detto attraverso le parole e che allo stesso tempo va oltre la parola stessa.