Gruppo di studio e di ricerca sul trattamento della dipendenza da Marijuana in adolescenza
Niccolò Gozzi, Valeria Gristina, Fabrizio Rocchetto, Francesca Tranquilli e Valentina Trombacco
Durante il lockdown, su un muro in un quartiere di Roma, compare la scritta: “Sala Canna Bis”. Sembrerebbe un invito ad entrare in un non-luogo destinato ad accogliere i “fuggitivi” in cerca di Cannabis. La scissione della parola: “Canna Bis”, evoca l’idea dei carcerati del 41 bis, i quali tra i civici 2 e 3 – come il binario 9 e ¾ di Harry Potter – sono alla ricerca di una via di fuga dalla realtà.
Come gruppo di studio che da due anni lavora sul tema del consumo e della dipendenza da cannabis ed altre sostanze in adolescenza, ci siamo chiesti: nel periodo durato quasi due mesi che ha imposto di limitare gli spostamenti, cosa è accaduto agli adolescenti/pazienti, costretti a rimanere in casa, ed in particolare ai consumatori abituali di “canne”?
I nostri pazienti adolescenti abituati a farsi le canne, hanno continuato a farsele adeguandosi al cambiamento delle regole sociali imposte dall’emergenza Covid-19. Lo spaccio non si è interrotto ma i ragazzi hanno avuto bisogno di essere più attenti per evitare di essere “bevuti” (fermati) da parte delle forze dell’ordine, anche se gli spacciatori si sono organizzati con l’e-commerce facendo consegne a domicilio meglio dei supermercati.
Le modalità abituali di approvvigionamento e consumo sono state fortemente condizionate dal lockdown. I più giovani tra i 12 e i 14 anni (in pubertà – prima adolescenza) privati dei contesti sociali di condivisione dell’erba, si sono ritrovati a fare l’esperienza di “stare in assenza di canne” e in presenza di uno sguardo genitoriale, spesso distratto nell’epoca precedente il lockdown.
Alcuni ragazzi tra i 15 e i 18 anni (nel pieno dell’adolescenza), in una condizione di reclusione forzata, in mancanza del contatto sociale, la condivisione delle bevute e delle canne stesse, hanno sofferto il confronto con la quotidianità familiare, entrando in contatto con una importante quota di dolore. Abbiamo avuto modo di osservare qualità differenti dell’ambiente “intrafamiliare”, il quale può essere stato un buon contenitore delle ansie, oppure una camera di “detonazione”, dove l’accumulo di tensione e di “vicinanza familiare” ha generato situazioni di conflitto.
L’abitudine del fumare la canna rappresenta spesso per gli adolescenti il tentativo di una regolazione emotiva. Il non poter accedere alla canna con la medesima agilità di un tempo, ha esposto l’adolescente alla percezione del proprio dolore psichico e “relazionale”.
Nei casi in cui la situazione di angoscia e imprevedibilità causata dal virus è divenuta ingovernabile, alcuni genitori di pazienti si sono convertiti alla tolleranza quasi “legittimando” l’uso del THC (delta-9-tetraidrocannabinolo, sostanza contenuta nella cannabis con effetti psicoattivi), pur di limitare esplosioni emotive o scivolate nell’alcol.
In qualche caso, soprattutto nella esasperante fase iniziale, hanno anche chiesto di poter trovare un po’ di “fumo” per dormire, in alternativa allo psicofarmaco.
Lo sforzo imposto dall’isolamento è stato quello di fare i conti con se stessi, e con la necessità di organizzare nuovi metodi di gestione della propria emotività.
In questa quarantena il tempo esterno ha subìto una reale sospensione e questo ha fatto sì, per i nostri adolescenti “cannaroli” (e non solo) che si attenuasse quel divario tra tempo interno ed esterno agevolando una diminuzione dell’angoscia e un minore bisogno della sostanza.
La questione dell’isolamento sociale può aver favorito però alcune dinamiche difensive, come indietreggiare di fronte allo scambio sociale con altri ragazzi, isolarsi, chiudersi ed allontanarsi.
Al fianco della difesa, è venuto in aiuto l’uso della canna, potenziatore assoluto delle sensazioni interne, dei vissuti emotivi, nel bene e nel male. C’è chi ha anelato a questo “isolamento nell’isolamento”, come un fasciarsi ripetuto di strati che distanziano dal contatto esterno, ormai per giunta pericoloso per la salute, e che fanno rivolgere ancor più all’interno. In questi ragazzi la fase due ha aumentato la percezione del rischio nel doversi riaffacciare alla realtà.
Ma come sono stati gli adolescenti senza le canne? Sembrerebbe che l’assenza di canne abbia lasciato spazio ad altro. La ricerca di attività precedentemente poco esplorate, come il gioco online, la visione delle serie televisive, lo scrivere riflessioni, poesie, canzoni, oltre alle videochiamate per continuare a tenere in vita il contatto umano.
Il rapporto psicoterapeutico ha “tenuto” in remoto, grazie all’alleanza terapeutica ed il transfert già avviato. Nel “confinamento” forzato dovuto al lockdown, l’uso esclusivo del telefonino e del pc per comunicare ha consentito a noi terapeuti di continuare ad incontrarli adattando il setting terapeutico alla situazione. Collegarsi da casa ha rappresentato la possibilità di fare entrare il terapeuta nel mondo interno dell’adolescente fin troppo tangibile (la propria stanza), non solo nel mondo interno dell’inconscio e delle fantasie. Alle volte il concreto è stato più spaventoso dell’immaginario da mostrare e vedere insieme, poiché non si poteva più mostrare al terapeuta solo quella parte di sé che si voleva presentare. Con il tempo l’ascolto analitico ha fatto sì che il concreto fosse accettato, le stanze si sono aperte così come le videocamere. Alle volte è successo anche che ci fosse un eccesso di vicinanza, con qualche canna accesa in seduta. Questo gesto concreto ha permesso di aprire il discorso sul versante fantasmatico e su cosa significasse la canna per il paziente, un condensato di vissuti dolorosi da esplorare e comprendere insieme.
Gli adolescenti in terapia, nella migliore delle ipotesi hanno avuto la possibilità di mettere in parola la personale visione di ciò che stava accadendo, fuori e dentro di loro. Ha preso il via una riflessione su sé stessi, su ciò che amavano fare prima della reclusione, sulle occasioni perdute, la preziosità del tempo. Il tempo sospeso dalla possibilità di azione ha favorito l’attività di pensiero. La camera dalla quale alcuni adolescenti sarebbero voluti fuggire è divenuta il luogo dal quale poter ripartire, riattivando il desiderio e la curiosità, rispetto ad un futuro prossimo sentito come prezioso perché rinnovato dalla libertà.
La nostra impressione è che gli adolescenti – anche quelli più disturbati – in questa situazione abbiano mostrato una maturità inaspettata, forse perché fattori stressanti come la scuola e lo studio sono venuti meno, hanno visto un’ esaltazione della tecnologia digitale in passato strenuamente combattuta da alcune aree del settore adulto potendo stare ore al PC o al telefono. La socialità ne ha sofferto ma clandestinamente i casi più in difficoltà hanno saputo organizzarsi. In generale la nostra impressione è stata di una popolazione di adolescenti sorprendentemente adattata anche nelle situazioni più complesse.