di Valeria D’Angelo
ETHOS
Regia: Berkun Oya
Serie TV – 8 episodi (2020)
Piattaforma Netflix
Ethos è una miniserie turca, composta da 8 episodi e distribuita dalla piattaforma Netflix nel 2020.
È una serie corale che attraversa gli intrecci narrativi di molte storie a partire da quello della sua protagonista, Meryem (Öykü Karayel), una giovane donna di umili origini e musulmana devota.
Il suo viaggio in autobus dalla campagna nebbiosa dove vive, alla trafficata città di Istanbul dove lavora come donna delle pulizie in un lussuoso appartamento, lega ambienti antitetici, dove la povertà e la ricchezza si susseguono in brevi istanti. Dopo poco osserviamo Meryem perdere i sensi nel suo luogo di lavoro e questa immagine unisce il presente al passato, esattamente ad un anno prima quando, in seguito ad un succedersi di svenimenti sospetti, la giovane viene inviata da una psichiatra e psicoterapeuta, Peri (Defne Kayalar), una donna elegante e sofisticata, altro personaggio cardine della storia.
Il primo incontro è intenso come lo sono le prime sedute con i pazienti: l’imbarazzo di Meryem è tangibile, si guarda intorno silenziosa. Nelle prime battute la ragazza riempie il tempo cercando di comprendere dove passi l’autobus che la possa condurre alla scuola della nipote.
L’inquadratura fissa della camera si sposta dal volto incorniciato dall’hijab della smarrita Meryem, a quello algido e professionale di Peri. Sono due donne turche che sembrano appartenere a mondi diversi, immagini di un’apparente inconciliabilità di essere donna.
Inizialmente con garbo, Peri le domanda come mai si trovi lì con lei e la risposta che ottiene è proprio “il problema degli svenimenti”. Da una cauta indagine si apprende che questa sintomatologia si è presentata ad un matrimonio, ad una festa di fidanzamento e durante la visione televisiva di un programma di matrimoni.
Subito Meryem, che porta il nome della madre di Gesù e che, come dirà lei, vuol dire “vera credente”, introduce la figura dell’hodja (Settar Tanriöğen), un uomo religioso al quale la comunità a cui appartiene fa riferimento per ottenere consigli di matrice musulmana.
Il credo religioso manifesta molto presto nelle parole della giovane la sua funzione di àncora e allo stesso tempo d’ingombro ad una esplorazione libera dei desideri: nulla può essere fatto se prima l’hodja non dà l’assenso, perché solo Allah sa cosa sia giusto e cosa no.
La vita di Meryem è tesa tra il lavoro e il darsi da fare a casa: vive con il fratello Yasin (Fatih Artman), i suoi nipoti e la cognata Ruhiye (Funda Eryiğit), una donna gravemente depressa, che non ha accesso a nessuna cura perché in famiglia si crede che da quelle malattie non si possa guarire.
Il nome del signor Sinan (Alican Yücesoy), citato da Meryem durante la sua descrizione di come ha imparato a fare un ottimo caffè, ruba l’attenzione di Peri, la quale inizia a domandare insistentemente di lui, mostrando una difficoltà nel tollerare che di quell’uomo la donna non sia ancora pronta a parlare.
La violenza dell’indagine della dottoressa verso Sinan, datore di lavoro della giovane, trova una risposta difensiva da parte della paziente, la quale, con rabbia educata, si congeda velocemente senza garantire una sua presenza alla seduta della settimana seguente.
Come in uno specchio queste due donne si guardano, si completano e si mescolano, così come avviene successivamente nella puntata, quando Peri incontra la sua terapeuta e supervisora Gülbin (Tülin Özen). Il rapporto tra le due appare eccessivamente confidenziale per una relazione inevitabilmente asimmetrica e spesso si parla di analisi e di supervisione in modo quasi indistinto.
L’ambiente è sempre una stanza di psicoterapia, questa volta in uno studio privato. Peri si trova a confrontarsi sul turbamento generato dall’incontro con Meryem. Nell’intimità del suo setting, dà voce a ciò che lo spettatore ha semplicemente avvertito, ovvero una distanza emotiva dovuta ad un mondo che impone obblighi religiosi e sudditanze a figure maschili nel quale Meryem è ritenuta subalterna.
Peri ha già una diagnosi nella mente: una conversione isterica legata ad un innamoramento che la ragazza sta sperimentando verso il datore di lavoro di cui non vuole parlare.
Ciò che la preoccupa e la inquieta però, è il pregiudizio che vive verso le donne con il velo, una rabbia profonda verso coloro che non si sono emancipate ed una rabbia verso se stessa per non riuscire a liberarsi di questo pensiero tanto ingombrante da farle sperare che la paziente non torni da lei.
La distanza socio-culturale viene vissuta da Peri in modo così intenso da intaccare una comprensione profonda del malessere di Meryem, facendo trionfare la propria difesa espressa in un auto compatimento e suggellata nel suo pensiero di congedo: “è impossibile capire, non abitiamo nello stesso paese di questa gente”.
Lo sguardo della sua terapeuta sembra riproporre l’irritazione che Peri ha mostrato in alcuni istanti con Meryem: per qualche ragione, Gülbin sembra essere disturbata dalle comunicazioni che le fa la sua paziente, in particolare quelle legate al giudizio fermo e convinto verso le donne musulmane, nei confronti delle quali mostra una chiara superiorità, motivata dalla sua appartenenza ad una famiglia benestante e laica.
Solo a fine seduta, Peri scopre che la donna con l’hijab in sala d’attesa, non è una paziente come lei, bensì sua sorella, generando in lei un forte imbarazzo per le parole appena depositate nel suo tempo di analisi.
Come in una dinamica di vasi comunicanti, Gülbin si trova a parlare di Peri con un uomo che frequenta saltuariamente. “Le avrei voluto dire: lei (Meryem) nasconde la testa, tu i pensieri…getta la maschera, piccola fascista”: le parole non dette di Gülbin sono feroci e portano alla luce una speculare difficoltà a confrontarsi con un controtrasfert ostile, lì dove l’attacco inconscio della paziente mina le origini familiari e intime della terapeuta.
La prima puntata si conclude dove era iniziata, nel ricco appartamento del signor Sinan, datore di lavoro di Meryem e, si scopre, amante di Gülbin, svelando un primo intreccio narrativo, all’interno di un racconto tentacolare delle storie dei numerosi personaggi.
Nel nostro lavoro siamo portati a pensare che durante la prima seduta si esprimano non solo le sintomatologie manifeste, ma soprattutto i nodi conflittuali inconsci che portano un/a paziente ad intraprendere un percorso di psicoterapia: ugualmente in questa prima puntata entriamo in contatto con tutti i personaggi della serie e con loro, con un mosaico di ambientazioni, linguaggi, dinamiche familiari, status sociali e di classe.
Il mondo interno è un luogo di contraddizioni che sembra riflettere ciò che noi viviamo nella realtà esterna, nel nostro quotidiano; ciò da cui ci si difende, prepotentemente, trova una via di accesso da dove è stato relegato.
Meryem non può dire di essere innamorata di un uomo inaccessibile e converte sul corpo un desiderio negato. La dottrina religiosa, ricca di simbolismi e di parole inoppugnabili, perno su cui si è forgiata la condotta di vita della protagonista, non sembra essere sufficiente a curare il suo mal d’amore, mentre sorprendentemente, l’incontro complesso con la terapeuta, fornisce uno spazio ed un tempo per legare pensieri e vissuti fino a quel momento inavvicinabili gli uni con gli altri.
Lo stesso incontro rappresenterà ugualmente per la psichiatra un tempo in cui prendere contatto con la propria identità, costruita intorno ad una fortezza di emancipazione sociale, pronta a sgretolarsi di fronte al caldo e al contempo dritto avvicinamento della sua paziente. Ciò che avviene è un accostamento alla propria solitudine, alla paura di entrare in risonanza con quanto narcisisticamente sembra essere incompatibile con l’ideale di donna e professionista che vorrebbe rivestire, ovvero la fragilità dell’essere umano nel suo essere bisognoso e dipendente dai legami.
Per la professionista, cresciuta in una famiglia della Istanbul aristocratica, che ha studiato all’estero, il timore di non essere libera così come crede sia la sua paziente, si è trasformato nel non far avvicinare nessuno, al fine di non stabilire alcun tipo di relazione affettiva e congelare ogni sorta di vissuto autentico e profondo.
Chiaramente Meryem tornerà in terapia e con lei il suo mondo affettivo, dando vita alle tante storie intrecciate le une con le altre, di cui si prende visione nel corso della serie.
Ampio spazio viene dato alla storia di Ruhiye, la cognata di Meryem, una giovane donna chiusa in un dolore profondo, che solo al termine giungerà ad una sua elaborazione.
Nelle otto puntate scorre l’anno che lega a ritroso la prima immagine della storia, fino ad arrivare nuovamente a quello svenimento, questa volta arricchito dalla comprensione del processo di cambiamento che lentamente è avvenuto.
Ethos è prevalentemente una serie tv di donne, che parla alle donne e della complessità del ruolo sociale che queste si trovano a ricoprire in un paese così ricco di contraddizioni. Donne emancipate, professioniste, donne servizievoli, devote, religiose, donne innamorate e sole, madri attente e madri addolorate. Il panorama del femminile è fortemente descritto, a scapito di quello maschile che, contrariamente alla centralità che riveste in una società fortemente religiosa, appare secondario, caratterizzato da ambivalenze tese a mettere in risalto una vulnerabilità che non può trovare spazio nell’immagine stereotipata dell’uomo patriarca.
La città funge da cornice silenziosa e al contempo scandisce spazi e tempi così diversi da non permettere una facile convivenza nel nostro immaginario: eppure Istanbul è notoriamente anche questo, una metropoli divisa tra l’oriente e l’occidente, tesa tra l’apertura propria dei porti sul mediterraneo e la difficoltà di essere il centro di una nazione che ha bruscamente interrotto il suo processo storico di laicizzazione.
Il velo può essere espressione di chiusura, di subordinazione, simbolo di una mancata libertà espressiva del corpo e del mondo interno. Al contempo, può esistere un velo invisibile che agisce in un modo altrettanto determinante nella formazione identitaria. Il disvelamento di parti autentiche della propria personalità trova nella psicoterapia un’opportunità in cui questo può avvenire, ma prima che ciò si manifesti, la centralità rimane sull’incontro controverso e talvolta perturbante, con l’altro da sé.