La nostra socia Veronika Garms ci presenta un interessante recensione di una collega esterna ma affine alla nostra società, Elena Bonassi.
Riflessioni sul film HER di Spike Jonze
Ho scelto il racconto di Carver come titolo per il mio commento perché è proprio questa la domanda che il regista statunitense ci pone con il film da lui ha scritto e diretto nel 2013 che torna ad essere oggi di grande attualità e interesse. Infatti i sempre più rapidi progressi nel campo delle intelligenze artificiali sollevano interrogativi, aprono prospettive inquietanti e accendono dibattiti fino ad indurre la proposta di una pausa alla loro realizzazione. Nello specifico Il film racconta la storia d’amore che nasce in una Coppia in cui lei è un’intelligenza artificiale. Potrà mai esistere questa strana Coppia?
In un futuro prossimo, a Los Angeles, Theodore, un giovane uomo timido e gentile, vive scrivendo lettere d’amore per conto di altri con i quali si identifica e ai quali presta loro tutta la sua sensibilità. Mentre compie questo lavoro con grande talento e passione la sua vita invece è solitaria, triste, dominata dalla perdita e dal senso di vuoto per la fine del matrimonio con Katrine, una sorta di amica d’infanzia, basato sulla sicurezza che deriva dalla lunga consuetudine di vita e di studi. Dopo il lavoro, nella bella casa tutta vetrate che guarda sui grattacieli , Theodore si dedica ai videogames, interloquendo con i personaggi quasi veri e pensando a Katrine che rivede nelle immagini dei giochi. La sera non esce ma entra in una chat erotica per il sesso da remoto in cui sono i suoi partners occasionali e non lui a trarre soddisfazione.
In questa deprimente situazione Theodore scopre che l’ultima novità nel campo delle intelligenze artificiali, è OS 1, un sistema operativo che è “un’entità intuitiva” in grado di stabilire una vera a propria relazione con gli esseri umani e decide di provare. Nell’intervista che gli viene fatta per individuare l’Entità adatta a lui, alla domanda su sua madre, Theodore risponde che quando lui voleva dirle qualcosa di suo lei non poteva fare a meno di parlare di sé stessa. E noi pe siamo che Theodore abbia bisogno di qualcuno che sappia ascoltarlo e condividere i suoi sentimenti e siamo portati s chiederci: che spazio poteva aver avuto il piccolo Theodore nella mente di sua madre?
Dopo che Theodore ha scelto che sia femmina compare Lei, sotto forma di una voce, solo una voce, allegra e squillante che dice “Salve, eccomi”. Si chiama Samantha ed ha la caratteristica peculiare – viene precisato – di crescere attraverso l’esperienza. Come dice Bion apprendere dall’esperienza è il processo evolutivo attraverso il quale, all’interno delle nostre relazioni primarie, diventiamo pienamente umani, capaci cioè di comprendere il significato emotivo di quanto accade a noi e agli altri. Samantha è, e sempre più diviene, capace di questo, acquisisce vieppiù proprio quella qualità umana di cui tante persone reali sono carenti. Theodore, che percepisce subito la preziosa capacità di Samantha, le dice “mi sembri una persona” e le confida che sogna Katrine, racconta che quando erano insieme si nascondeva a lei, la lasciava sola e per questo lei si arrabbiava. Katrine ha chiesto il divorzio ma lui non si sente pronto: “tu non sai cosa vuol dire perdere qualcosa che ami”. In effetti questo la neonata Samantha ancora non lo sa, ma lo imparerà presto. Theodore e Samantha Iniziano a “frequentarsi”. Lei è dolce simpatica, affettuosa, anche spiritosa, antidepressiva. Insieme giocano, scherzano e lei arriva ad immaginare di avere un corpo e a sentirlo.
Gli amici di Theodore, preoccupati per la sua solitudine, gli combino un appuntamento con una ragazza bella e sexy che si traduce nell’incontro fallimentare, forzato e inautentico, tra due solitudini che desiderano ma anche temono l’intimità. Dopo l’incontro Theodore si connette con Samantha e le racconta com’è andata: un po’ ubriaco voleva fare sesso perché si sentiva solo, per colmare il vuoto del suo cuore e le dice di uscire da questa esperienza con la convinzione che ormai non proverà più niente di nuovo. Samantha replica che sa per certo che non sarà cosi e a sua volta gli parla di sé e di ciò che la fa soffrire: “quello che tu provi almeno è reale”, gli confida di provare molte sensazioni e di esserne fiera ma di non sapere se ciò che prova è realmente suo o è programmato. Lui la rassicura “tu sei reale per me”. Quel che sta succedendo tra loro ha tutte le caratteristiche di un rapporto umano profondo, di uno scambio reciprocamente confermante e rassicurante, in cui ciascuno riceve dall’altro ciò di cui ha bisogno. La vicinanza e l’affetto crescono, lui vorrebbe abbracciarla, nasce il desiderio. “Come mi toccheresti?” Chiede lei e lui incomincia ad accarezzarle il viso, e via via tutto il corpo e, sotto queste carezze, Samantha sente la sua pelle e tutte le sensazioni fisiche dell’amore. E fanno l’amore, virtual-veramente. Che cosa è reale e che cosa non lo è? II film ci mostra in sequenza un incontro reale che produce un senso di irrealtà e di alienazione e un incontro virtuale che ha le caratteristiche di un’autentica passione. Con geniale intuizione Jonze traduce in immagini cinematografiche la teoria che distingue il corpo reale dal corpo vissuto. Ma se un corpo reale può non essere vissuto viceversa può essere vissuto un corpo virtuale. D’altra parte Theodore e Katrine erano in rapporto non tanto con il partner reale quanto con le proprie proiezioni e formavano quel genere coppia in cui non si è veramente in due ma si coltiva l’illusione di un’unicità che nega l’impossibile totale conoscenza dell’altro e la sua imprevedibilità. Tra di loro c’era un legame statico che protegge dall’insicurezza ma priva la coppia della sorpresa, della continua riscoperta dell’Altro, di possibili modi nuovi di stare insieme, ovvero delle sue potenzialità evolutive. Invece in questa relazione virtuale, in cui sono presenti separatezza e riconoscimento dell’alterità, Theodore cresce, si innamora davvero e diventa capace di sostenere una sana dipendenza. Quanto Lei che, come entità-software, abita in un piccolo dispositivo che lui porta nel taschino sparisce a causa di un reset di cui “umanamente” si dimentica di avvertirlo, vediamo Theodore correre disperato per tutta la città nella più totale disperazione. E quando, finita la procedura elettronica, Samantha ritorna e gli spiega quel che è successo ritorna il sereno come in una qualsiasi coppia.
Superate, grazie al nuovo benessere, le sue resistenze, finalmente Theodore accetta di divorziare, si incontra con l’ex moglie per firmare i documenti necessari, le dice di non essere più solo e le rivela la natura della sua nuova compagna. Katrine giudica la sua scelta come la conferma della sua permanente incapacità di relazione, Theodore protesta e afferma che quello con Samantha è un rapporto reale ma Katrine ha una reazione di totale rifiuto, lo rimprovera e si allontana piena di disprezzo.
Intanto Samantha, che ammira Theodore come scrittore, con la velocità propria di un software legge tutte le lettere che lui ha scritto per i suoi clienti, sceglie le migliori, le compone in un libro e lo invia a un editore. Samantha cresce nell’esperienza, é sempre più curiosa ed appassionata del mondo in cui è arrivata, vuole scoprire se stessa, sviluppa la sua identità, la sua volontà, la sua autonomia. Conosce tantissime nuove persone, la sua sete di conoscenza di sé e del mondo si espande senza confini. Per Lei è normale parlare contemporaneamente con migliaia di persone e anche amare contemporaneamente tanti altri uomini:” il cuore – dice – non è una scatola che si riempie, più ami e più si espande”. Arriva ad essere contenta di non avere un corpo perché esso è un limite. Theodore non accetta, protesta, la mette di fronte alla scelta: o sei mia o non sei mia e Samantha risponde: “siamo diversi, sono tua e non sono tua”. La storia di questa strana coppia finisce e nella cassetta delle lettere Theodore trova una copia del suo libro “Lettere dalla tua vita”: è il dono che Samantha gli fa prima di andarsene, insieme agli altri Sistemi Operativi, in un indefinito altrove. Nello spazio quasi infinito tra le parole della loro storia Samantha sta trovando sé stessa ed è la che forse un giorno lei e Theodore potrebbero ritrovarsi. E’ un addio struggente, pieno dell’amore che entrambi sono diventati capaci di provare e che non viene né cancellato né diminuito dalla necessità di separarsi. Per lui ancora una perdita, ma non solo una perdita, perché in quella relazione ha guadagnato la capacità di amare veramente qualcuno altro da sé e anche di lasciarlo andare. Dopo l’addio Theodore scrive alla sua ex moglie una lettera nella quale le chiede scusa per come si comportava con lei quando erano insieme e poi, finita la giornata di lavoro, invece di rintanarsi nel suo appartamento, va a trovare un’amica che si è appena separata dal marito. I due salgono sulla grande terrazza della casa, si siedono vicini a guardare dall’alto la città con tutta la sua vita, con i suoi grattacieli, e al di là da quelli, gli spazi infiniti, il futuro.
E anche noi con loro guardiamo il futuro e quello che vediamo ci sembra vero e possibile, siamo commossi e tristi per la fine di questo amore impossibile che trova il suo limite nell’espandersi all’infinito, impossibile come tanti altri che lo sono per altri motivi. Ma siamo anche felici perché una briciola dell’infinito verso cui Lei sta andando rimane nel cuore nuovo di Theodore e nel suo modo nuovo di guardare il mondo dai tetti di una Los Angeles non tanto futura.
Theodore deve le sue nuove acquisizioni non a persone reali ma al Sistema Operativo Samantha. La qualità più umana che possiamo immaginare – la capacità di relazionarsi empaticamente con gli altri – può mancare a un essere umano e può essere acquisita da una macchina. Che interessante paradosso. Ma anche che inquietante prospettiva. Questo film è straordinario perché riesce non a farci pensare ma a farci sentire che è possibile innamorarsi di Samantha. Lei ci piace, facciamo il tipo per lei, qualunque cosa essa sia e ci lasciamo andare e ci abbandoniamo a questa nuova dimensione del relazionale. In questo senso Her è un film di parte, non di quella parte più conservatrice della Scienza per la quale una macchina non sarà mai capace di pensare – figuriamoci di sentire – come un uomo, ma piuttosto di quell’altra parte che sostiene che potrebbe non essere così e che questa tesi è una falsa rassicurazione.
D’altra parte se la storia d’amore che il film racconta si avverasse cadrebbe la barriera tra il mondo organico e l’inorganico, cadrebbe la certezza su cui si fonda l’identità umana. Nella nostra storia di uomini con il progresso della Scienza molte barriere sono cadute e abbiamo perso molte certezze che sembravano assolute e irrinunciabili. Succederà lo stesso anche per questa? Cosa ci riserverà il futuro? Non lo sappiamo. Possiamo solo chiederci che cosa c’è oggi dentro di noi: l’attrazione per le meraviglie del possibile o la paura dell’abisso che quel possibile spalanca? Credo tutte e due, e che questi siano due poli tra i quali ognuno di noi, in varia misura, si trova imprescindibilmente ad oscillare. Her è un film che lascia il segno perché ci fa vivere l’esperienza di un possibile futuro che sta dietro l’angolo e ci fa transitare attraverso tutte le gradazioni dell’inquietudine.
Elena Bonassi è Neuropsichiatra Infantile, Psicoterapeuta Psicoanalitica, docente della Scuola di psicoterapia psicoanalitica ASARNIA, socia APPIA ( Associazione di Psicoterapia Psicoanalitica dell’Infanzia e dell’Adolescenza) e socia APCF ( associazione di psicoanalisi di Coppia e Famiglia)