di Antonella Gritti
Perché mio figlio non riesce ad aspettare?
Prima di tutto è necessario sapere che la capacità di aspettare si acquisisce crescendo, a partire dalla relazione tra il bambino e chi si prende cura di lui.
Le racconto una storia, inventata per spiegare come impariamo ad attendere nelle prime epoche della vita.
Il signor Francesco attende una persona cara ad un appuntamento, ha una buona capacità di aspettare e sa che la persona cara sarà sufficientemente puntuale. Francesco sa aspettare perché ha imparato ad avere fiducia nella attendibilità del mondo, cioè nella possibilità che le cose vadano per il meglio, la sua attesa è facilitata dal desiderio di incontrare la persona che gli è cara e dalla consapevolezza che quando la persona arriverà sarà un bell’incontro. Francesco è sereno con una lieve eccitazione che si accompagna a una certa anticipazione sognante, attendere per lui non è una cosa cattiva. Non è in allerta, non si sente minacciato da pericoli, l’ambiente gli appare accogliente, le persone che passano lo incuriosiscono. Lascia che la sua attenzione si sposti da un oggetto ad un altro, senza controllare insistentemente la porta d’ingresso della sala d’attesa, che guarda di tanto in tanto, sa che da quale lato arriverà la persona. Intanto elabora pensieri fluttuanti sulla sua vita, sulla persona cara, su quello che faranno, nella mente transitano inezie, incombenze noiose, nuove idee. Francesco ha il senso del tempo, nondimeno, ogni tanto, controlla l’orologio. Inganna l’attesa interessandosi alle ultime notizie di cronaca sul giornale. Ecco che la persona entra nella sala, proprio quando Francesco alza lo sguardo, si sorridono, si incontrano. L’attesa finisce in un abbraccio.
Cosa c’entra questo con quanto le ho chiesto, io parlavo di bambini?
Aspetti! Non abbia fretta di chiudere il discorso, torniamo indietro nella vita del signor Francesco e capirà.
Ora immagini Francesco neonato e affamato. Da quanto ne sa vive un malessere fisico che cresce a dismisura, inizia a piangere. Non sa cosa sia l’attesa e non si aspetta nulla, tutto è un presente, penoso e intollerabile. Nel bel mezzo di questa burrasca si materializza la mamma che gli porge il seno, il piccolo inizia a succhiare e prova un enorme piacere mentre, poco a poco il malessere si spegne, placato da un senso di pienezza calda e dall’abbraccio materno. Dal suo punto di vista questo primo appuntamento è una magia: hai fame, stai male, piangi, arriva una cosa bellissima che scaccia la pena. Francesco non sa ancora che la causa del suo benessere è la madre, così si sente un mago, ha creato proprio ciò di cui aveva bisogno, di cui probabilmente aveva un presentimento.
La sequenza si ripete tutti i giorni, più volte al giorno, poco a poco il piccolo Francesco acquista fiducia nel suo essere capace di creare l’esperienza dell’arrivo della prima cosa cara, parte inseparabile di sé. Il nostro piccolo può illudersi di produrre la beatitudine del seno perché la madre glielo ha offerto mediamente al momento giusto, intuendo che l’apparato psico-fisico del piccolo è sopraffatto quando la tensione supera un limite temporale. In realtà, la magia è il frutto dell’incontro tra due partner, un bambino affamato e una mamma che sente il desiderio di allattare. Come ogni magia, è al di qua del tempo dell’attesa.
Ma come può in bambino così piccolo imparare ad aspettare?
Quando Francesco ha sei mesi, il latte comincia ad annoiarlo. Riesce a stare seduto, gli piace sentire i suoi vocalizzi e lanciare a terra ogni cosa, è pronto ad essere più indipendente. Infondo anche la mamma lo desidera così, meno dipendente, e sente che è arrivato il momento di svezzarlo, ha atteso, si è adeguata ai tempi lenti della crescita, non ha spinto il bambino troppo presto verso l’autonomia, rispettando i suoi bisogni, ora, però, desidera anche altro nella sua vita e pone un limite. Da un po’ di tempo ha cominciato a farsi aspettare un pochino, prima di soddisfare le sue richieste. Il bambino non è lasciato in solitudine, la mamma crea una situazione che colma il tempo necessario al suo ritorno, offrendo giochi, magari qualche libricino. Ecco la prima sala d’attesa: un bambino seduto sul seggiolone gioca e osserva la mamma muoversi nella stanza, la sente parlare e annunciare che arriverà la pappa e sarà buonissima. Da adulti la sala d’attesa diventerà la nostra stessa mente, quando aspettiamo qualcuno o qualcosa.
I bambini così piccoli si arrabbiano quando aspettano?
Sì, ma non è un male per un lattante, così scopre che non è il Re del castello ma uno di tutti e deve fare i conti con la realtà. Una volta divezzo comincia a intuire che il mondo disillude ma che non è meno bello per questo: c’è il tempo, lo spazio, si prova tristezza e rabbia. Soprattutto, è un mondo dove si gioca. I bambini salutano la mamma che esce e si mettono a giocare, aspettando il ritorno. Il protagonista della nostra storia usava il suo giocattolo adulto, il giornale, per ingannare l’attesa.
E quindi?
Quindi, la qualità affettiva amorosa delle prime esperienze con l’adulto getta le fondamenta per una aspettativa fiduciosa, con lo svezzamento si edifica il saper attendere che è capacita di colmare il tempo sospeso del “tendere verso” qualcuno, qualcosa. Poi verranno esperienze che insegnano le declinazioni dell’attendere: il proprio turno, l’esito di un compito, un regalo, una risposta, aspettare di diventare grandi senza bruciare le tappe.
Questa è una favola! Le cose non vanno sempre così!
Infatti, il lattante sopraffatto da una fame che non si placa vive un tormento, se si ripete troppe volte il bambino si sente spaventato, non si sviluppa l’attesa fiduciosa e in futuro aspettare si accompagnerà a molta ansia. All’opposto, se non fa mai esperienza della frustrazione diventa incapace di adattarsi ad aspettare. Ovviamente anche il temperamento del bambino fa la sua parte. Alcuni lattanti sono costituzionalmente ipereccitabili o inconsolabili e quindi diventa più difficile abituarli ad aspettare.
Ci sono bambini terribili che piangono, si arrabbiano, assillano con le richieste.
Lei ha usato una parola che può aiutarci a comprendere alcune situazioni. Lo sa che “terribile” significa che incute timore, infligge una pena? L’attesa stessa può essere è sentita come l’aspettativa di una cosa cattiva, una minaccia o un abbandono. Allora sale la rabbia e si corre ai ripari cercando di annullarla, come a voler tamponare una emorragia di emozioni penose. Il giocattolo deve arrivare subito, la risposta deve essere immediata. In qualche caso non ha importanza ciò che si ottiene ma che si ottenga qualcosa per spegnere l’ansia. La qualità di ciò che aspettiamo –-evento piacevole, spiacevole, ignoto – e le emozioni che viviamo – ansia, rabbia, amore – hanno un ruolo importante nella nostra capacità di tollerare l’intervallo di tempo che ci separa dall’incontro con qualcosa o qualcuno.
Non pensa che i bambini di oggi siano viziati da genitori che li accontentano sempre?
I metodi educativi hanno un ruolo importante, ma l’ambiente non fa tutto. Quando i genitori non riescono ad aiutare il bambino a sopportare i sentimenti che si sviluppano mentre si aspetta e loro stessi sono impazienti, è difficile che un bambino possa imparare ad aspettare. Quante volte ci sentiamo dire: “Non sopporto di vederlo piangere”. Poi, come lei dice, alcuni genitori non danno limiti e i bambini non fanno esperienza del limite, continuano a sentirsi come Re che deve essere servito al comando. Porre limiti mette ordine nella mente di un bambino, non è solo questione di buona educazione comportamentale.
Il cellulare e le altre tecnologie possono avere un ruolo negativo?
L’attesa si apprende dai ritmi fisiologici e naturali, pensi al ciclo femminile o ai tempi della digestione, al respiro, alle stagioni. Le macchine, a differenza degli esseri umani, non conoscono l’attesa. Il caricamento di un sito web è di secondi, lo stesso vale per la messaggistica. La risposta alla sua domanda è: dobbiamo porci il problema ed evitare che PC e cellulare sostituiscano la relazione con genitori e coetanei, fare in modo che i bambini vivano i ritmi naturali, impedire che la macchina sostituisca l’umano. Se la mamma è impegnata e il bambino non riesce ad aspettare, è raccomandabile dare un giocattolo e parlargli a distanza, invece offrire il cellulare per placarlo. Cellulare e PC producono un sovraccarico di eccitazione sensoriale che potrebbe avere conseguenze negative.
C’è un rapporto tra difficoltà ad attendere e apprendimento? Le insegnanti segnalano bambini che interrompono i compagni, rispondono a vanvera, sono impulsivi.
L’attesa influenza ed è influenzata da alcune funzioni cognitive, ad esempio l’attenzione e la memoria. La memoria ci aiuta ad aspettare perché ricordiamo le precedenti esperienze, vale anche il contrario, mentre aspettiamo ricordiamo episodi, immaginiamo e riflettiamo. Aspettare aiuta il bambino ad acquisire il senso del tempo. La valutazione soggettiva del tempo influenza la possibilità di aspettare, i bambini piccoli sentono sempre di aspettare troppo perché il loro senso del tempo è diverso dal nostro. Lei parlava di impulsività, è la tendenza alla risposta immediata che fa seguito ad una emozione, in assenza della capacità di prendersi un tempo di riflessione. Infine, in ambito scolastico, gioca un ruolo anche la scarsa motivazione dovuta alla noia.
Infatti! Mio figlio dice sempre si annoia ad aspettare!
A scuola gli alunni si annoiano quando non c’è speranza di incontrare qualcosa di bello, che valga la pena di essere atteso, qualcosa di nuovo, interessante o sorprendente, insomma quando c’è solo monotonia e routine. La noia dell’attesa può essere conseguenza di un vuoto affettivo, non c’è spinta ad aspettare perché non c’è speranza che arrivi un altro con cui stare assieme. Poi ci sono i casi in cui il “mi annoio”, “non so che fare” sono frutto di sentimenti depressivi o ostili, questo è un tema complesso che esula dal nostro discorso.
Ha qualche consiglio?
È difficile dare consigli, ogni genitore può trovare soluzioni adatte per il proprio figlio. Tuttavia, ecco un piccolo elenco, non esaustivo, dei punti da tenere a mente.
Primo, il bambino deve fare esperienza dell’attesa, perché è necessaria per lo sviluppo affettivo e cognitivo. L’attesa promuove l’intelligenza e la creatività.
Secondo, gli adulti non devono lasciare il bambino aspettare oltre un limite e devono tornare accanto a lui dopo il tempo stabilito, in questo modo il bambino sviluppa fiducia nel mondo.
Terzo, finché i bambini sono piccoli è necessario mostrare come si inganna l’attesa, invitandoli a disegnare, giocare o affidando loro qualche piccolo compito domestico divertente. Alcuni bambini producono qualcosa per “sorprendere” la mamma quando torna. Questo operare è utile anche con i bambini più grandi che sono disattenti e iperattivi.
Quinto, non dare il cellulare o altri strumenti tecnologici per tenere tranquillo il bambino che aspetta. Si rischia di creare dipendenza e uno stato eccitato innaturale. Inoltre il bambino impara ad eludere l’attesa e non la utilizza per mettere in moto la mente.
Infine il punto più importante. I genitori non siano dei “fanatici” del “fai qualcosa”, “non stare senza fare nulla”. La pausa senza azione è un momento importante in cui la mente lavora in libertà e fa le sue scoperte, pensi alla mela di Newton. Non le è mai capitato che mentre aspettava senza fare nulla le piovesse in testa la soluzione di un problema?